Sembrava che le limitazioni delle libertà e l’intrusione nella vita delle persone fossero un ricordo legato alle fasi peggiori della pandemia. Sembrava anche fosse cessato il protagonismo dei presidenti di regione, che aveva caratterizzato tali fasi. Sembrava pure chiaro, come ribadito dalla Corte Costituzionale, che in una pandemia l’azione di profilassi debba essere condotta dallo Stato. Invece, pare che in Sicilia si stia ripetendo quanto già accaduto nei mesi scorsi. E in vista dell’autunno questa tendenza potrebbe estendersi ad altre regioni, come in passato.

Con un’ordinanza del 7 luglio scorso (n. 75), il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, ha previsto che Aziende Sanitarie Provinciali del Servizio Sanitario Regionale provvedano, mediante richiesta «a tutti gli Enti pubblici operanti nel territorio della Regione Siciliana, alla ricognizione aggiornata del numero dei dipendenti che non si sono ancora sottoposti alla vaccinazione. Analoga attività ricognitiva viene condotta con riferimento al personale preposto ai servizi di pubblica utilità e ai servizi essenziali (…), nonché agli autotrasportatori e al personale delle imprese che assicurano la continuità della filiera agro-alimentare e sanitaria e agli equipaggi dei mezzi di trasporto» (art. 3).

In altre parole, le Aziende Sanitarie devono chiedere ai datori di lavoro, negli ambiti indicati, i nominativi dei dipendenti non vaccinati. Già solo questa prima previsione è in contrasto con le leggi vigenti. Come affermato dal Garante Privacy - in conformità a norme dell’ordinamento, tra cui quelle del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR) - non è consentito al datore di lavoro raccogliere «informazioni in merito a tutti gli aspetti relativi alla vaccinazione, ivi compresa l’intenzione o meno della lavoratrice e del lavoratore di aderire alla campagna, alla avvenuta somministrazione (o meno) del vaccino e ad altri dati relativi alle condizioni di salute del lavoratore». Invece, il presidente della regione siciliana attribuisce proprio al datore di lavoro il compito di acquisire questi dati.

E non basta. A seguito della ricognizione dei non vaccinati, «tutti coloro che nell’esercizio dei propri compiti d’ufficio si trovino ad instaurare contatti diretti con il pubblico vengono formalmente invitati» dalle Aziende Sanitarie, «per il tramite dei datori di lavoro, a ricevere la vaccinazione»; se si rifiutano, «il datore di lavoro pubblico provvede (…) ad individuare per l’interessato una differente assegnazione lavorativa, ove possibile, che non implichi il contatto diretto del lavoratore con l’utenza esterna».

La legge dov’è?

LA PRESSE

La norma dell’ordinanza è redatta sulla falsariga di quella prevista per medici e operatori sanitari - per i quali la vaccinazione è requisito per continuare a lavorare a contatto con il pubblico (d.l. 44/2021) - ma ne sovverte la procedura, oltre ad estenderne la portata a lavoratori che la legge statale non prevede. Quest’ultima, infatti, all’opposto dell’ordinanza siciliana, affida l’accertamento dell’avvenuta vaccinazione a soggetti diversi dal datore di lavoro (regione, azienda sanitaria locale, ordine professionale di appartenenza), il quale subentra solo alla fine, per adibire il lavoratore a un’altra mansione o ad allontanarlo senza stipendio (salvo impossibilità a vaccinarsi per motivi di salute).

Ma il profilo più grave è che Musumeci fa discendere dall’ordinanza, in via indiretta, una sorta obbligo vaccinale, disponendo che la vaccinazione sia un requisito per svolgere certe mansioni. Ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, solo una legge statale può provvedere in questo senso, di certo non un’ordinanza regionale. Inoltre, come ribadito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 37/2021), a fronte di malattie altamente contagiose, in grado di diffondersi a livello globale, «ragioni logiche, prima che giuridiche», impongono che l’azione di profilassi sia condotta dallo Stato. E ciò vale anche per le regioni ad autonomia speciale, come la Sicilia.

Al riguardo, sarebbe necessario un intervento di Palazzo Chigi. Il governo dovrebbe anche valutare un altro articolo dell’ordinanza (art. 5), ove si prevede l’effettuazione di tamponi per chi proviene da Spagna e Portogallo. I viaggiatori in arrivo da tali Stati subirebbero nell’isola un trattamento difforme rispetto al resto del Paese. E ciò sarebbe, peraltro, in violazione anche della disciplina in tema di “green pass”.

Con la scusa della variante 

Va segnalato, il motivo per cui il presidente della Regione Sicilia ha reputato di emanare un’ordinanza contingibile e urgente, cioè necessaria a fare fronte a un pericolo imminente: il «rischio di diffusione del virus nella variante comunemente nota come “Delta”». A parte il fatto che l’ordinanza non offre dati sanitari che comprovino la necessità di un intervento così pervasivo, quindi anche sotto questo profilo essa è sprovvista di basi, va rilevato un altro aspetto importante.

Nelle premesse del provvedimento si fa riferimento a una circolare dell’Ufficio Scolastico regionale del novembre scorso, secondo cui le scuole devono ricorrere alla didattica a distanza quando ciò sia necessario «a causa di condizioni epidemiologiche contingenti». Il tema “scuola” appare inconferente rispetto al contenuto dell’ordinanza.

Unendo i puntini della decisione, sopra evidenziati, sorge spontanea una domanda: non sarà che Musumeci sta aprendo la strada per il prossimo autunno, in analogia con il passato, quando le regioni limitavano libertà e diritti in maniera disconnessa dal potere centrale? Un intervento del governo sarebbe necessario, prima che il protagonismo dei presidenti di regione torni a dilagare.

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