Trump e l’ombra pericolosa di un nuovo impero dispotico

Le transizioni politiche, gli spostamenti di potere, spesso avvengono sotto traccia. Nel caso degli Stati Uniti inizia ad affiorare, seppur non al centro del dibattito, il conflitto sulla trasformazione istituzionale che Donald Trump vorrebbe realizzare. Questo si snoda per ora intorno ai dazi e al potere giudiziario. Perché Trump, imponendo nuove barriere tariffarie senza reciprocità con altri paesi, si è incamminato sulla via della centralizzazione del potere a favore della presidenza. La posta in gioco nelle scontro con i tribunali non è solo rappresentata da questi dazi particolari, che costituiscono uno strumento di politica estera ed economica sulla cui efficacia si può discutere laicamente, ma dal fondamentale principio della separazione dei poteri su cui sono incardinate le istituzioni politiche americane. I padri fondatori hanno di fatti conferito al Congresso il potere di controllare le finanze pubbliche per garantire che il presidente non potesse acquisire i poteri di un re assolutista. La «golden age» degli autocrati: Orbán offre a Trump affari in cambio di supporto Questo principio si è progressivamente eroso nell’ultimo secolo, con la centralizzazione della presidenza che ha invaso sempre più le prerogative del Congresso. Quest'anno la situazione è precipitata quando Trump ha arbitrariamente stabilito i termini dell’intervento pubblico in economia del governo federale, ha trattenuto i fondi stanziati per le università, gli Stati e altri enti e ha di fatto tagliato i fondi ad agenzie create per legge dal Congresso, come l'Usaid e il dipartimento dell'Istruzione, fino a farle scomparire. Nodo separazione dei poteri I repubblicani di quest’epoca, permeati dal “populismo verticale” trumpiano, sia alla Camera che al Senato, non solo sono rimasti a guardare, ma spesso hanno anche applaudito il proprio leader. Alcuni teorici vicini al popolo Maga, come Curtis Yarvin, teorizzano espressamente il superamento della separazione dei poteri. Intorno a questa deriva istituzionale si colloca la futura decisione della Corte Suprema sulla imposizione di nuovi dazi da parte di Trump, una delle politiche cardine della presidenza. Il caso dei dazi è solo apparentemente limitato e tecnico. Trump ha aumentato i dazi su quasi tutti i paesi fino al 100 per cento, invocando l'International Emergency Economic Powers Act del 1977. Da Trump ai dem invidiosi: chi odia l’agenda Mamdani La legge consente al presidente di "regolare" le importazioni per contrastare le emergenze originate all'estero. La Casa Bianca sostiene che "regolare" vada oltre gli strumenti che i presidenti utilizzano solitamente in modo autonomo, come le sanzioni, per arrivare all’imposizione di nuovi dazi. Gli oppositori di Trump ribattono che il Congresso non intendeva che la legge autorizzasse un protezionismo ad ampio spettro. I tribunali di grado inferiore si sono già pronunciati contro la decisione di Trump. La conseguenza più importante della decisione della Corte Suprema riguarda l’equilibrio di potere delle istituzioni americane prima che l’economia. Trump ha costruito il suo programma, dai dazi alle espulsioni degli immigrati irregolari, agli attacchi contro presunti trafficanti di droga venezuelani, basandosi in gran parte su un'autorità presidenziale dispiegata ad ampio raggio. Neo-dispotismo Se la linea della presidenza dovesse prevalere in questa contesa, egli potrebbe aumentare quasi qualsiasi tipo di tassa semplicemente invocando un'emergenza che abbia qualche collegamento con la minaccia estera, per quanto tenue. È un passaggio che dovrebbe spaventare anche i conservatori, e alcuni repubblicani lo sono, perché un futuro presidente potrebbe, ad esempio, dichiarare arbitrariamente un'emergenza climatica e imporre una tassa sugli idrocarburi senza passare dal Congresso. Il muro legale di Mamdani. «Faremo di New York una città a prova di Trump» La vicenda fotografa ad ogni modo un passaggio istituzionale più ampio. Assistiamo probabilmente alla transizione da impero egemonico a impero dispotico. Il primo è un impero che realizza invece un maggiore equilibrio tra potere economico, potere politico e potere militare; albergando al suo interno, come mostra la storia degli Stati Uniti a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, le tensioni della policrazia economica e del pluralismo politico. L'impero dispotico concentra invece i suoi sforzi sugli armamenti, la sua economia tende a tradirne in un'economia di guerra controllata dal potere militare, il principio della forza e della volontà politica supera qualsiasi facciata di legalità. Gli Stati Uniti di questi anni sembrano in marcia spedita verso questo secondo modello, solo il funzionamento dei residui pesi e contrappesi potrà far fermare il pendolo in un punto intermedio tra i due modelli di impero.