Una toccata e fuga, quella di Donal Trump per i funerali di papa Francesco a Roma. A smentire chi, con poco realismo, immaginava fosse addirittura l’occasione di improvvisati bilaterali con leader europei per provare a ricucire l’attuale, profonda frattura nelle relazioni transatlantiche. Non era ovviamente la sede, né vi sarebbe stato il tempo, anche se il viaggio ha lasciato comunque l’immagine – suggestiva e attentamente coreografata – del breve scambio tra Trump e Zelensky nella basilica di San Pietro.

A cosa è servita allora questa visita lampo? Cosa ha indotto il presidente statunitense a rompere gli indugi e a venire di persona (avrebbe potuto inviare il cattolicissimo segretario di Stato, Marco Rubio, ad esempio).

Le risposte sono diverse e non necessariamente esclusive. La prima, banale, è che ieri tutti i riflettori erano puntati su Roma. E sappiamo quanto Trump non si sottragga mai ai riflettori. A maggior ragione quando questi possono illuminare altri, inclusi alcuni dei suoi principali antagonisti politici, da Macron a Lula, dal suo predecessore Joe Biden a Ursula von der Leyen e i principali vertici dell’Unione europea.

La seconda ragione è che la Chiesa cattolica continua a essere un importante attore politico globale con la quale il leader degli Stati Uniti è chiamato a confrontarsi. Non avrà strumenti di potenza ortodossi – le “divisioni”, come forse disse Stalin (la citazione è incerta e di seconda mano) - ma con i suoi quasi un miliardo e mezzo di fedeli rimane la confessione religiosa più importante al mondo.

Dispone, il Vaticano, di una rete diplomatica capillare e assai efficace; interagisce con numerose organizzazioni collaterali che contribuiscono a diffonderne verbo, influenza e aiuti. Ed ha mostrato, anche durante il pontificato di papa Francesco, di sapere utilizzare con indubbia efficacia questi strumenti, se necessario per contrastare proprio alcune delle principali politiche delle amministrazioni Trump, in particolare in materia d’immigrazione.

E questo ci porta alla terza ragione, quella probabilmente più importante. Bergoglio non ha fatto mistero della sua ostilità a tante delle politiche trumpiane. Ancor prima del voto del 2016, accusò chi voleva costruire muri ai confini di non potersi definire «cristiano» (un commento «vergognoso», commentò allora Trump). Lo ha ribadito in più occasioni anche nelle ultime sue settimane di vita, quando proprio su temi a lui cari – immigrazione, aiuti internazionali, lotta alla povertà – le posizioni del presidente statunitense si sono fatte ancor più radicali ed estreme.

Al punto da rispondere direttamente al vice-presidente, JD Vance, che con il tipico zelo del convertito si era permesso di dare lezione di teologia al Vaticano (sostenendo che l’ordo amoris di Sant’Agostino rimandasse a una concezione gerarchica di amore e compassione dove solo alla fine – dopo la famiglia, la comunità e la nazione – si possono trovare gli altri esseri umani; in una puntuta lettera ai vescovi Usa, papa Francesco rispose sottolineando come l'amore cristiano non debba invece in alcun modo essere inteso come «un'espansione concentrica di interessi che a poco a poco si estendono ad altre persone e gruppi»).

Si tratta di una dialettica presente anche all’interno del variegato arcipelago del cattolicesimo statunitense. Dove diffuse, tra la gerarchia e, ancor più, gli elettori sono posizioni conservatrici, apertamente critiche di Bergoglio. Un arcipelago composito, questo, e assai importante, politicamente ed elettoralmente.

La Chiesa cattolica è la principale confessione religiosa (e cristiana) negli Usa. Entro un generale calo di religiosità nel paese negli ultimi 10-15 anni, particolarmente acuto per le chiese evangeliche bianche, si è dimostrata in grado di reggere maggiormente l’urto. E nel 2024 i suoi fedeli, inclusi quelli di origine ispanica, hanno votato molto di più per Trump di quanto non avessero fatto quattro anni o otto anni prima (lo scorso novembre, Trump avrebbe vinto circa 60 a 40 il voto cattolico; nel 2020 era andato 52 a 47 a Biden; nel 2016, Clinton lo aveva perso 46 a 50).

Anche a essi Trump ha voluto dare un messaggio. Con l’auspicio, nemmeno tanto velato, che dal prossimo conclave esca un Papa a lui meno ostile di quanto non sia stato Francesco.

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