Trump l’antiglobalista e il cupo silenzio dell’Onu

Siamo ancora lontani dal record storico di Fidel Castro, che alla plenaria dell’Onu del settembre del 1960 riuscì a parlare per quattro ore mezzo. Erano altri tempi e la logorrea del leader cubano rimane ancor oggi leggendaria. Ma i sessanta minuti del discorso di Trump rientrano a pieno titolo nella hit parade della prolissità onusiana. Sessanta minuti violenti, sconclusionati, sgrammaticati e minacciosi, come da costume della retorica assai poco presidenziale di Donald Trump. Cosa ci ha detto questo messaggio? Quali erano gli obiettivi di Trump e di chi gli ha scritto il discorso, dal cui testo il presidente si è peraltro più volte allontanato, andando spesso a braccio? Tre, in estrema sintesi sono le risposte possibili. La prima, se mai ve ne fosse stato ancora bisogno, è l’estrema avversione di Trump all’Europa e al progetto europeo. Un antieuropeismo, questo, che non di rado tracima in vera e propria eurofobia. Si tratta di un’avversione all’Europa che ha matrici antiche nella storia e nella cultura politica degli Stati Uniti; che nella destra americana è tornato con forza negli ultimi quindici/venti anni; e che con Trump alla presidenza è divenuta ancor più centrale e caratterizzante nella retorica di questa destra. Attaccare, censurare, intimidire. Così Trump usa l’omicidio Kirk Se non modificate – ha affermato Trump – le sue politiche «suicide» sull’immigrazione e sull’energia segneranno «la morte» di quella parte di Europa che, con le categorie desuete della guerra fredda, Trump ha definito «occidentale». Abbracciando come nessun presidente statunitense prima di oggi, neanche George Bush Jr., posizioni di totale negazionismo materia di cambiamento climatico, definito «la più grande truffa mai perpetrata al mondo», Trump ha preso di mira un tema, e una battaglia, fattesi quasi identitarie per il progetto europeo. E ha preso di mira quel cosmopolitismo europeo oggi antitetico al suo ruvido nazionalismo. Il secondo bersaglio è un altro internazionalismo, anch’esso contestato e in crisi: quello che l’Onu rappresenta e simboleggia. Le Nazioni Unite generano parole inutili e vacue, che «non aiutano a risolvere le guerre», ha sostenuto il presidente, rivendicando, poco credibilmente, il merito di aver risolto unilateralmente sette conflitti. «Quale è la funzione dell’Onu?», ha chiesto retoricamente Trump. Kimmel torna e sfida Trump. Il presidente giura vendetta Terzo e ultimo: il relativo silenzio sul dramma di Gaza così come sulla guerra in Ucraina. Conflitti che Trump aveva promesso di risolvere in poche ore e che continuano invece a rivelarsi intrattabili. Terminato il discorso, Trump ha prospettato l’assunzione di una linea più ferma nei confronti di Mosca, ma la credibilità dell’impegno appare tenue viste le sue frequenti oscillazioni al riguardo. Su Gaza, sembra esservi maggiore coerenza, vista la ferma posizione pro-israeliana del presidente, dei principali membri dell’amministrazione, a partire dal segretario di Stato Marco Rubio, così come dei più influenti repubblicani al Congresso. Il discorso, spesso sconclusionato, di Trump non ha sorpreso. E ci ha restituito una volta ancora l’immagine di un presidente radicale, aggressivamente nazionalista, anti-multilateralista e, anche, non poco confuso (a un certo momento, denunciando le politiche ambientaliste, Trump ha lamentato che «non si vogliono più le mucche …si vogliono uccidere tutte le mucche»). L’Ucraina, il Green Deal e il Piano Mattei. L’orgoglio di Meloni (sulla scia di Trump) Diversamente da qualche anno fa, l’Assemblea generale ha ascoltato in ombroso silenzio l’interminabile discorso del presidente. Perché quella attuale, diversamente dalla prima esperienza presidenziale di Trump, non può essere rubricata come una parentesi accidentale della storia. Perché a dispetto di tutto, un solido 40 per cento di americani continua a sostenerlo senza esitazioni. E perché mentre il partito repubblicano è ormai indistinguibile dal movimento Maga, quello democratico rimane diviso e ancora tramortito. Il mondo che si va definendo oggi non è quello – istituzionalizzato e Onu-centrico – del diritto internazionale e di una estesa governance globale. È un ordine balcanizzato, dai tratti neo-imperiali, nel quale l’Assemblea generale dell’Onu diventa al meglio un palco da cui declamare le proprie posizioni e al peggio un attore da irridere e umiliare, come Trump ha in larga misura fatto.