Se c’è una cosa che il duo Donald Trump-Elon Musk ci mostra è l’inutilità delle chiavi di lettura usate sin qui. Trump ritorna all’hard power, al potere tradizionale e imperiale: minacce, modi spicci, accentramento e poche cautele diplomatiche, gestione incoerente e opportunista delle crisi internazionali.

Il trattamento che sta riservando all’Ucraina e le varie minacce espansioniste di sapore nettamente novecentesco sono esempi lampanti. Prima del suo incarico formale, e forse anche dopo, Musk non ha un potere vero, ma gioca tutto sull’opinione, sul richiamo a presunti valori (la libertà di pensiero, il merito e l’efficienza).

Si potrebbe pensare che i due si stiano dividendo i due lati del potere secondo la nota distinzione di Joseph Nye: uno gestisce l’hard power, l’altro il soft power, incarnando così quella miscela che il politologo di Harvard ha poi chiamato smart power.

Tandem comune

Ma, in realtà, Musk e Trump stanno andando oltre queste categorie, e Trump aveva cominciato a farlo già nel primo mandato con il suo uso compulsivo dei social e il suo stile da campagna elettorale permanente.

È come se due forme di potere prima distinte si fossero fuse, più che combinate, per diventare più forti. Musk non poteva, senza un candidato alla presidenza, ottenere il predominio finanziario ed economico che si sta assicurando (o almeno questo pare plausibile).

Trump parrebbe aver avuto bisogno della forza di traino dell’opinione pubblica che Musk gli ha assicurato nelle ultime fasi della campagna, nonostante egli avesse già un indubbio impatto mediatico. E adesso non c’è una divisione del lavoro fra i due, ma una specie di tandem comune, per cui Trump talvolta fa il battutista e lavora sul piano delle parole (come quando dà del «comico mediocre» a Volodymyr Zelensky) e altre volte Musk esercita un potere politico (come quando licenzia migliaia di dipendenti pubblici).

Oppressione delle menti

Assistiamo a una nuova metamorfosi del potere: il potere politico ai livelli più alti tende a occupare tutti gli spazi, almeno mentali – Trump inonda i mezzi di comunicazione di sparate, proposte, provocazioni. Il potere politico tradizionale occupa gli spazi mentali del micro-potere, diventa fatto culturale predominante, super-meme.

Da un lato, il messaggio è che il governo deve arretrare, lasciando spazi di libertà all’intrapresa individuale. Dall’altro, il duumvirato occupa le menti, le parole, l’immaginario, proprio come il più classico dei soft power.

Trump e Musk non sono la fine del soft power fatto di modelli culturali, immaginari, azione sull’opinione pubblica. Sono il trionfo e l’impazzimento di questo tipo di potere, che diventa onnipervasivo e perverte la sua natura. È un’oppressione delle menti, prima che dei corpi o delle relazioni sociali. È un tratto che ha poco a che vedere con il sovranismo. È una modalità che solo chi guida un impero politico e culturale si può permettere.

Ma c’è una parte del soft power, com’era tradizionalmente inteso, che declina irrimediabilmente. Nonostante alcuni balbettii confusi, Trump e Musk sono il trionfo del cinismo amorale. L’America di Trump e Musk non ha una missione morale: la tradizionale attenzione americana per i diritti umani, la democrazia e la libertà sono estranee a Trump, ora come durante il primo mandato.

La guida morale del mondo

L’imperialismo di Trump non pretende che l’America sia una guida morale del mondo. Per quanto alcuni teorici conservatori americani richiamino il bene comune e J. D. Vance ammanti i suoi messaggi di sofisticate tonalità morali, Trump e Musk rifiutano le richieste di coerenza che qualsiasi moralità impone. Possono produrre macchine elettriche e allo stesso tempo negare il cambiamento climatico. Possono difendere la famiglia tradizionale e una visione binaria dei generi e allo stesso tempo ricorrere alla Gpa o civettare con la cultura camp e drag.

Forse sta qui il tallone d’Achille. Forse su questo si dovrebbe insistere. Per esempio, si potrebbe semplicemente ripetere che noi europei su certi valori non cediamo. Che invadere un paese non è qualcosa che si possa perdonare, che l’autodeterminazione di individui e popoli è un ideale cui non si può rinunciare, così come la solidarietà sociale e intergenerazionale. Semplicistico, forse. Ma sta in un tweet.

E se la guida morale del mondo passasse di qua dell’Atlantico? Il problema è che per ergersi a guida morale, ipocritamente o meno, ci vuole statura. E non è solo Giorgia Meloni a mancarne. La Germania affronta elezioni problematiche, Emmanuel Macron e Keir Starmer fanno quel che possono, ma sono figure nate deboli. La critica populista alla tecnocrazia e alla burocrazia e vari passi falsi hanno offuscato il fascino di Mario Draghi e Ursula von der Leyen. Viviamo in un mondo imperiale senza imperatori. In attesa forse di un rinnovato Gran Khan, di un imperatore cinese che ci imponga i suoi valori?

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