Dazi, guerre e altre illusioni: il presidente Usa vuole stravolgere l’ordine mondiale ma non ne azzecca una. Come cambiare il mondo disastrosamente...
Con un misto di superficialità, improvvisazione e prepotenza, il presidente Usa ha annunciato di voler riformare il mondo. Applicherà una dottrina bella pronta, ready made: Rifare Grande l’America. Apparentemente né lui né i suoi collaboratori, scelti prevalentemente con il criterio del tasso di adorazione nei suoi confronti, si sono interrogati sulle cause del più o meno significativo declino dell’America negli ultimi vent’anni.
Da lui in parte interpretata e rappresentata, anche visceralmente, e in larga misura guidata, la reazione è stata diretta contro la cultura woke. In sintesi, woke compendia tutte le tendenze socio-culturali e di stili di vita espresse e in parte, in maniera molto/troppo acritica, accettate e lodate dai democratici e dall’influente, ma tutt’altro che egemone, establishment nel mondo dell’informazione, delle università d’élite, del cinema.
A quei comportamenti, peraltro non ancora adeguatamente valutati né negli eccessi né nella spinta positiva verso una società DEI (caratterizzata da Diversità, Equità, Inclusione), Trump ha contrapposto un ritorno al passato. Il suo annuncio è sembrato molto rassicurante, con qualche punta di risentimento e di rivalsa, all’elettorato che, per ragioni di conoscenze e tipo di attività lavorative, si sentiva e considerava non solo sfidato, ma lasciato indietro, umiliato e abbandonato. Un’America più grande darebbe più prestigio anche a loro, li renderebbe patrioti orgogliosi.
Da tycoon per il quale i soldi sono la misura non solo della ricchezza, ma dell’abilità personale e del successo ottenuto, Trump si è buttato anzitutto sui dazi per recuperare la potenza economica Usa. Poi ha cercato di dimostrare che lui è in grado di rimettere gli Stati Uniti al centro dell’ordine (disordine) internazionale. I dazi si stanno rivelando, come la teoria economica ha sempre sostenuto, un fallimento enorme, costoso, non recuperabile.
Anche la risposta ai due gravi conflitti in corso, pur molto diversi fra loro – aggressione russa all’Ucraina e prolungata e sproporzionata rappresaglia israeliana contro Hamas e i palestinesi – evidenzia una visione inadeguata e persino pericolosa di Trump sul mondo che c’è e su quello che si potrebbe costruire.
Solo un megalomane poteva pensare di costruire qualcosa di decente nel conflitto russo-ucraino umiliando il presidente Zelensky e stabilendo un rapporto personale diretto con Putin riconoscendo all’autocrate russo un potere da tempo perduto e irrecuperabile. Non ne sarebbe, comunque, derivata nessuna pace «giusta e duratura», niente di cui vantarsi.
Caduta l’opzione, non si intravede nessuna strategia trumpiana alternativa. Anche nel Medio Oriente Trump non può sbandierare alcun successo. Gaza non sarà una “riviera” esclusiva per super ricchi e sceicchi, spaventati dalla prospettiva di dover accogliere la diaspora palestinese. Quel che è peggio: Trump non ha la minima idea di come convincere o costringere Netanyahu a concludere le sue ormai intollerabili e ingiustificabili operazioni belliche.
Nessun nuovo ordine internazionale potrà emergere se Trump continua a credere che l’Ue abbia sfruttato la “sua” America, e se concorda con Vance che gli europei siano parassiti. Incidentalmente, non saranno i singoli governanti europei che asseriscono di comprendere le motivazioni del Trump sovranista piuttosto imperialista (si vedano le uscite su Groenlandia e Canada) a moderarne le mire e le politiche, ma neppure a trarne qualche vantaggio in esclusiva. Le photo opportunities – chiedo scusa, opportunistiche – sbiadiscono in fretta.
Al contrario, resistere a Trump e non lesinare motivate critiche è patriotticamente doveroso; soprattutto, è politicamente indispensabile per porre le premesse di una strategia diversa, basata su accordi lungimiranti. Questo vorremmo dai volenterosi.
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