Dopo otto decenni di stretta alleanza, gli europei fanno fatica ad abituarsi a un presidente americano che si comporta come un dittatore russo, così come ad un mondo regolato dalla legge del più forte. Dalla difesa alle alleanze internazionali, passando per le tasse alle Big Tech e dai rapporti con il sud globale, ecco quattro consigli in direzione indipendenza per il Vecchio Continente
Lo scorso 2 maggio, l’ufficio federale tedesco per la protezione della Costituzione ha stabilito che il partito AfD (Alternative für Deutschland) merita di essere classificato come di estrema destra ed estremista. In risposta a ciò, il segretario di stato del presidente americano Donald Trump, Marco Rubio, ha preso le difese di AfD e condannato la decisione come un atto di «tirannia mascherata».
Come per il discorso del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a febbraio e l’esplicito sostegno di Elon Musk all’estrema destra europea in numerose occasioni, questi attacchi confermano che gli Stati Uniti non sono più alleati dell’Europa, bensì sono diventati suoi avversari.
Trump non ha solo manifestato la volontà di abbandonare l’Ucraina alla Russia, ma sta anche cercando di distruggere il modello sociale, ecologico, economico e democratico dell’Europa.
Un ordine autoritario
L’obiettivo di Trump è costruire un ordine mondiale autoritario e illiberale. Vuole smantellare lo stato democratico del suo paese, stabilire alleanze commerciali con i principali regimi illiberali del mondo e creare una fortezza nordamericana inespugnabile riaffermando la sovranità degli Stati Uniti su Canada, Groenlandia e Canale di Panama.
Si rifiuta persino di escludere l’uso della forza per ottenere il suo scopo, e non considera un problema il fatto che l’Ucraina ricada nell’orbita della Russia, perché vede con favore il ritorno a un mondo in cui le grandi potenze governano “sfere di influenza”. Ognuno di questi obiettivi pone all’Europa sfide di natura geopolitica, economica e di sicurezza.
Alcuni europei si aggrappano alla speranza che questa rottura delle relazioni transatlantiche sia solo temporanea e che le elezioni di metà mandato del 2026 o le elezioni presidenziali del 2028 rimetteranno a posto le cose. Ma per l’Europa basare la propria strategia su questa idea sarebbe molto rischioso.
Qualsiasi tentennamento nella risposta europea all’aggressività di Trump non farà che rafforzarlo. Come il presidente russo Vladimir Putin, Trump crede solo nelle lotte di potere e nella “ragione del più forte”. Fra l’altro, la sua capacità di far virare gli Stati Uniti verso l’autocrazia, l’esatto contrario dei valori europei, è maggiore di quanto molti pensassero. Di fatto, stiamo assistendo a una rapida “putinizzazione” della politica americana.
La posizione antieuropea dell’amministrazione Trump non è spuntata dal nulla. Gli Stati Uniti cercano da tempo di sganciarsi dall’Europa, guardando all’Asia. Lo si era già visto dalla decisione del presidente Barack Obama di non reagire con fermezza all’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014, o di non mettere dei “paletti” quando il presidente siriano Bashar al-Assad aveva usato gas velenosi contro i suoi concittadini.
Sebbene abbia in parte frenato questa tendenza, il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina durante il mandato del presidente Joe Biden non è stato sufficientemente incisivo, ed era chiaro che l’allontanamento dall’Europa sarebbe continuato anche dopo di lui. Ben prima della rielezione di Trump lo scorso novembre, ero già giunto alla conclusione che Biden sarebbe stato probabilmente l’ultimo presidente americano veramente transatlantico. Per molti americani, la Nato sembra sempre più il retaggio di un’epoca passata.
Cosa può fare l’Europa? Innanzitutto, deve rispondere con forza alla guerra commerciale di Trump e non cedere alle sue estorsioni sulla regolamentazione delle Big Tech. Noi europei siamo infatti pericolosamente dipendenti dagli Stati Uniti per quanto riguarda la tecnologia digitale. Questa situazione deve cambiare: dovremo portare avanti lo stesso tipo di derisking che stiamo attuando nei confronti della Cina. Ma anche l’America dipende dall’Europa. L’Unione europea rappresenta ancora un quinto del consumo globale e diventa ancora più importante per le aziende statunitensi che devono affrontare un accesso ridotto al mercato cinese.
Secondo, l’Europa deve perseguire con fermezza una sovranità strategica nel campo della difesa e dell’alta tecnologia. Non mancano i rapporti che descrivono nel dettaglio ciò che occorre fare. Questi investimenti richiederanno risorse considerevoli, e quindi nuove emissioni di titoli di debito paneuropeo (a differenza del fondo NextGenerationEU, il rimborso del debito deve essere garantito con nuove risorse a livello europeo).
In terzo luogo, dobbiamo interpellare altri paesi affini che hanno subito gli attacchi di Trump: Giappone, Corea del Sud, Canada e Australia. Le vittorie di Mark Carney e Anthony Albanese, rispettivamente in Canada e in Australia, dimostrano che l’occidente non intende scendere a patti con il nuovo autoritarismo. Dovremmo creare un G6 – un G7 senza gli Stati Uniti – e costruire un sistema di difesa totalmente europeo che includa paesi come il Regno Unito e la Norvegia.
Quarto, dovremmo tendere la mano al sud globale, sia per allentare la pressione di Trump e Putin sia per preservare il multilateralismo. Per farlo, però, sarà necessario apportare cambiamenti significativi, come abbandonare le politiche migratorie della “Fortezza Europa” e il permissivismo mostrato nei confronti del governo di estrema destra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Tollerare l’intollerabile a Gaza ci ha privato di buona parte della nostra autorità morale.
Le sfide dell’Ue
È realistico dichiarare l’indipendenza dell’Europa dall’America? Dopo otto decenni di stretta alleanza, gli europei, comprensibilmente, fanno fatica ad abituarsi a un presidente americano che si comporta come un dittatore russo. È inevitabile che i cambiamenti che bisogna apportare incontreranno delle resistenze in alcuni paesi dell’Ue politicamente in linea con il trumpismo.
Si tratta di una sfida anche per la Commissione europea, che negli ultimi anni ha costantemente, e un po’ incautamente, teso ad allinearsi con gli Stati Uniti su tutto. Fortunatamente, le recenti dichiarazioni di Friedrich Merz, nuovo cancelliere tedesco, suggeriscono che uno dei paesi europei più tradizionalmente atlantisti ha compreso la nuova sfida che abbiamo di fronte.
Anche il Partito popolare europeo e i partiti nazionali che ne fanno parte devono smetterla di accodarsi ai populisti di estrema destra schierati in tutto e per tutto con Trump e Putin. I partiti europei di centro-destra dovrebbero tornare alle loro tradizionali alleanze con i socialdemocratici, i liberali e i verdi per fare fronte comune contro Trump.
Raggiungere l’indipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti non sarà facile. Ma se non agiamo ora, e con decisione, il futuro del nostro modello sociale e democratico potrebbe essere alquanto tetro.
Josep Borrell è stato ex alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ex vicepresidente della Commissione europea, ex presidente del Parlamento europeo ed ex ministro degli Esteri della Spagna.
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