Ieri abbiamo commentato il decreto natalizio sotto il profilo del metodo. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva promesso un Natale sereno, vantando criteri “oggettivi” di classificazione delle regioni per zone di rischio, con restrizioni proporzionate al rischio stesso. Il 3 dicembre è stato regolamentato il periodo delle feste, inducendo le persone a farvi affidamento. A pochi giorni dal Natale è stato ribaltato tutto con un nuovo decreto, in spregio non solo all’organizzazione, ma anche alla fiducia della gente. Più che metodo, improvvisazione, come se fosse l’inizio della pandemia. Oggi passiamo al merito.

Il nuovo decreto in tre paradossi

Innanzitutto, tre paradossi mostrano l’assenza di razionalità del nuovo decreto. Nella conferenza stampa, Conte ha detto che l’Italia - tra il 24 dicembre e il 6 gennaio - sarà zona rossa nelle giornate festive e prefestive, mentre nelle altre sarà zona arancione, perché il sistema degli indicatori funziona, la situazione è molto migliorata e quasi tutte le regioni sono ormai zona gialla.

Proviamo a immaginare cosa sarebbe successo se il sistema non avesse funzionato e fosse andato tutto peggio: la stretta vi sarebbe stata ugualmente e Conte avrebbe annunciato le medesime misure con costernazione, anziché con aria soddisfatta per i risultati raggiunti, come ha fatto venerdì sera. Insomma, sarebbe cambiato il copione e l’espressione facciale, non la sostanza delle restrizioni. La possibilità di giustificare le stesse misure con due situazioni opposte rende palese l’assurdo.

Secondo paradosso: il presidente del Consiglio, nel mentre vantava di aver evitato un lockdown generalizzato nelle settimane scorse, annunciava il lockdown delle prossime settimane, come se fosse una cosa perfettamente coerente. Di coerente non c’è niente nell’esaltare la mancata adozione di una certa misura per il passato nel momento stesso in cui la si adotta per il futuro.

Il terzo paradosso è di tipo giuridico. Conte ha rimarcato l’uso del decreto legge, anziché degli usuali Dpcm. Ma, ai sensi della Costituzione (articolo 77), il decreto legge può essere adottato solo in casi di «necessità e urgenza»: se non c’è stato un aggravamento improvviso dei parametri di rischio - come non c’è stato - qual è la “necessità e urgenza” del decreto natalizio? Non si sapeva forse con sufficiente anticipo che il 25 dicembre sarebbe stato Natale?

Continua l’uso non solo improprio, ma in questo caso addirittura paradossale, dello strumento normativo. A ciò si aggiunga che, a differenza dei Dpcm, atti amministrativi, di un decreto legge non si può chiedere la sospensiva al Tar, come forse qualcuno avrebbe fatto, date certe assurdità del nuovo provvedimento.

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La follia delle nuove misure natalizie

Le nuove disposizioni sono poco chiare, si affastellano su quelle precedenti, talora paiono veri e propri rebus. Esclusi under 14 e disabili, due persone anche non conviventi tra loro possono spostarsi presso l’abitazione di un terzo nucleo familiare, ad esempio di tre persone, ma quelle tre persone non possono spostarsi presso l’abitazione delle altre due. Qual è la logica? Non c’è, semplicemente.

Non si potrà accertare che nelle abitazioni la disposizione sia rispettata. Il presidente del Consiglio ha affermato che i controlli avverranno nelle strade, valutando l’autocertificazione di chi si muove.

A parte che occorrerà un dispiegamento di forze dell’ordine per verificarne il rispetto, regole delle quali si stenta a comprendere la ratio fanno scattare in automatico l’ideazione di scappatoie per aggirarle. Lo si è detto più volte: le persone faticano a rispettare le regole che fanno fatica a capire.

Ancora, sin dall’inizio della pandemia si è ribadito che stare insieme a non conviventi, in luogo chiuso e senza idoneo distanziamento, come accade in case ove si festeggia, potrebbe essere causa di contagio.

Eppure il nuovo decreto consente di ricevere due persone non conviventi. Conte ha giustificato l’eccezione come contemperamento di interessi per le feste: una gentile concessione. Ma il virus non concede eccezioni anche se è Natale. Se stretta doveva essere, almeno con coerenza.

Tra il 24 dicembre e il 6 gennaio non ci si potrà spostare fra Comuni, con una deroga per quelli con non più di 5.000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 km, con esclusione dei capoluoghi di provincia. Ma c’è pure una deroga alla deroga, perché tra il 24 dicembre e il 6 gennaio è comunque consentito lo spostamento di due persone verso una abitazione privata nella medesima regione, una sola volta al giorno, fra le 05,00 e le 22,00.

Oltre al fatto che la disposizione già non è semplice e che Conte l’ha spiegata tutt’altro che chiaramente in conferenza stampa, “fonti di Palazzo Chigi” dicono che le persone potranno spostarsi nelle seconde case, senza altre precisazioni. Una deroga ulteriore alle due già indicate, forse rinvenibile in una delle affastellate e contorte norme precedenti?

Quando la precauzione sconfina nell’arbitrio

Ogni restrizione a libertà e diritti deve essere proporzionata a una situazione di rischio e basata sulla spiegazione del motivo per cui quelle e non altre misure sono necessarie per arginarlo. Questo manca del tutto.

In conferenza stampa Conte ha citato un parere del Comitato tecnico scientifico, nel mentre vantava la propria trasparenza decisionale – ennesimo paradosso – ma non ha nemmeno provato a giustificare le nuove restrizioni con qualche dato concreto. Non ci si può limitare a dire che potrebbe esserci un pericolo, per imporre qualunque vincolo.

Non basta affermare che serve chiudere tutto al fine di evitare che poi vada peggio, cioè per mera precauzione. Anche il principio di precauzione va usato rispettando criteri di proporzionalità: le misure adottate non devono mai oltrepassare i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il perseguimento degli obiettivi di tutela perseguiti.

Insomma, la precauzione non può sconfinare nell’arbitrio. Eppure, questo è il nuovo decreto natalizio.

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