Di fronte alla brutale e illegale invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin, la comunità internazionale ha reagito con fermezza, ma anche con un sorprendente ritorno a una retorica bellica che sembrava annacquata da un ventennio di globalizzazione. Molti, anche a sinistra, anche in Italia, sembrano aver perso di vista che l’obiettivo dovrebbe essere l’assenza di guerra, non l’annichilimento del nemico.

Il sostegno militare all’Ucraina, come le sanzioni economiche alla Russia, devono essere calibrati sull’obiettivo cioè, lo ripeto, far desistere Putin dall’aggressione e preservare le vite dei civili ucraini. E invece si mischiano vari obiettivi, molti governi occidentali usano la violenza commessa da Putin per imporre decisioni che altrimenti avrebbero richiesto mesi o anni di dibattiti e compromessi. E tutto questo avviene tra gli applausi, invece che tra le proteste.

La Germania, che agli ucraini ha potuto mandare solo 5000 elmetti perché non aveva armi stivate, coglie l’attimo e annuncia un investimento una tantum da 100 miliardi per rifondare il suo esercito e un aumento permanente della spesa per la difesa dall’1,36 per cento del Pil al 2 richiesto dalla Nato. Soldi che serviranno a proteggere gli ucraini? No, ma solo a essere pronti per altre guerre future.

L’Italia manda armi e aiuti, e a colpi di decreti smonta in due settimane quel poco di transizione ecologica costruita in anni di faticosa sensibilizzazione: di fronte a Putin, cosa volete che sia un po’ di anidride carbonica in più? E allora più gas, più carbone, c’è già chi chiede ancora più nucleare, domestico o di importazione.

Italia e Germania sono i due grandi paesi del blocco Ue più filorussi da sempre, quelli che hanno contribuito a garantire la sostanziale impunità di Putin dopo l’invasione della Crimea nel 2014: dopo aver tollerato la degenerazione democratica in Russia, ora la importano in patria.

Nel frattempo, le materie prime raggiungono i prezzi di prima della crisi finanziaria del 2008, le banche crollano in borsa per i contraccolpi delle sanzioni finanziarie alla Russia, lo spread tra titoli di debito italiani e tedeschi ricomincia a salire, mentre aziende di ogni genere reclamano aiuti di stato per affrontare l’emergenza.

Rischiamo un combinato di inflazione e recessione, con la Federal reserve che conferma aumenti dei tassi per frenare i prezzi nonostante il conflitto abbatterà il Pil un po’ ovunque.

La guerra è la tassa più ingiusta, perché toglie ad alcuni la vita, ad altri il benessere, mentre arricchisce solo chi prospera sul conflitto. Leonardo, azienda della difesa a controllo statale, è salita in Borsa del 26 per cento dopo l’invasione. 

L’obiettivo di ogni politica dovrebbe essere preservare la democrazia e quella crescita economica che la rende possibile. Non avere un cannone più lungo di quello di Putin.

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