L’ultima volta in cui sono stata in Ucraina, qualche anno fa, i miei nonni erano venuti a prendermi in macchina a Odessa. Sulla strada, piena di buche, verso Kherson ci avevano fermato a un posto di blocco. Mio nonno aveva presentato la patente, dentro c’erano delle banconote. I poliziotti hanno preso il documento e glielo hanno restituito senza i soldi. Poi ci hanno permesso di proseguire il viaggio. Ho chiesto a mio nonno perché li avesse pagati. Mi ha risposto: «Bisogna fare così, altrimenti non ci avrebbero lasciati andare». L’Ucraina non è il paese dei balocchi. La corruzione è una piaga – contro cui solo negli ultimi anni hanno cominciato ad essere presi dei provvedimenti – ed è solo uno dei suoi tanti difetti. Quella che si sta combattendo dal 24 febbraio non è una guerra tra buoni e cattivi. Non c’è nessun paese da beatificare, ma ce n’è uno da condannare senza dubbio: la Russia per aver invaso l’Ucraina. Negli ultimi otto mesi, gli ucraini si sono difesi dall’attacco.

Una premessa banale, ma doverosa davanti alle iniziative, apparentemente per la pace, che si stanno moltiplicando dopo l’escalation degli ultimi giorni nella guerra.

Messaggi ambigui

Foto LaPresse

Se la pace, citando la definizione del dizionario dell’enciclopedia Treccani, è «la condizione contraria allo stato di guerra», allora gli ucraini, senza dubbio, sono i primi a volere la pace.

Gli slogan di chi lancia manifestazioni pacifiste sono tanto condivisibili quanto ambigui: «Cessate il fuoco e ritiro immediato delle truppe russe dal territorio ucraino», «Tacciano le armi! Negoziato subito».

Impossibile non sottoscrivere il messaggio. Peccato però che in Ucraina oggi «far tacere le armi» equivale a una resa. Cioè se gli ucraini non combattono, consegnano il loro paese all’invasore.

Il coro delle manifestazioni pacifiste dovrebbe avere un unico destinatario: Vladimir Putin. Ma le sue azioni hanno dimostrato finora totale noncuranza della voce del suo popolo, figuriamoci quale possa essere la sua preoccupazione davanti alle proteste dei cittadini dei paesi occidentali. Anche se scendesse in piazza un fiume di persone, questo non servirebbe a convincere il presidente russo a ritirare le truppe.

Quello che invece portano con sé le manifestazioni pacifiste è un’inevitabile riflessione sull’invio di armi e quanto ne consegue. La domanda che serpeggia – a volte in modo nemmeno troppo velato – è perché continuare a incentivare la resistenza degli ucraini se poi il rischio è che l’occidente si avvicini ancora di più alla guerra. Come se la colpa del conflitto non fosse della Russia, ma dell’Ucraina che, ostinandosi a combattere, allontana la pace.

A sostegno di questa visione si elencano una serie di errori – presunti o reali – commessi dagli ucraini dall’inizio del conflitto. È così che, davanti alle immagini del ponte di Kerch in fiamme, diventa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky l’uomo da fermare. E non Vladimir Putin.

Come se fosse, appunto, la guerra tra angeli e demoni: dimostrando che anche gli ucraini “sono un po’ cattivi”, i russi diventano un po’ più buoni e le loro richieste non così ingiustificabili. In sintesi nelle manifestazioni pacifiste sui cartelloni colorati, accanto alla parola pace, mi sembra di leggere il sottotitolo «a qualunque costo».

Ma se al posto dell’Ucraina ci fosse l’Italia, saremmo pronti a cedere intere regioni a un ipotetico invasore solo per tenerlo buono qualche mese, forse anno? Perché se abbiamo imparato qualcosa dai fatti del 2014 è che accontentare Putin non è garanzia di pace. Di conseguenza non è la mancata resa dell’Ucraina a minare oggi la nostra pace, ma solo l’attacco della Russia. 

Sono nata in Ucraina, sono cresciuta in Italia, paese di cui, da qualche anno, sono anche cittadina. Ho paura anche io davanti all’escalation del conflitto e alle minacce del presidente russo dell’utilizzo dell’arma nucleare.

Sogno la pace e vorrei tornare a Kherson per riabbracciare i miei nonni. Non scenderò in piazza per partecipare alle manifestazioni pacifiste. Non servirebbe a fermare l’unico autore della guerra, cioè Vladimir Putin, e a mandare via i russi dai confini ucraini, che è l’unica via per la pace.

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