Fornire armi all’esercito ucraino serve a comprare tempo, così come le sanzioni economiche. Ma tempo per ottenere cosa? L’esercito ucraino non potrà mai sovrastare quello russo per forze e mezzi: dopo l’annessione della Crimea nel 2014, gli ucraini sono passati da 6.000 a 140-150.000 unità combattenti, ma hanno perso il 70 per cento della loro forza navale, tra l’altro.

Il piano lanciato nel 2020 per ammodernare la flotta aerea con 12 miliardi di investimenti (tre volte il budget annuale della difesa ucraina) era irrealistico e comunque con un orizzonte temporale al 2035.

Vladimir Putin ha schierato forze di invasione di circa 170-190.000 uomini e finora ha impiegato solo una piccola quota delle risorse dell’esercito russo che includono le armi nucleari, alle quali l’Ucraina ha rinunciato nel 1994. La supremazia militare dell’ucraina è dunque impensabile, neanche con tutto l’aiuto dell’Occidente.

Basteranno le sanzioni? Secondo i mercati, è più probabile il default dell’Ucraina che quello della Russia. E’ presto per fare un bilancio delle sanzioni economiche e finanziarie che hanno colpito oligarchi, banche e imprese. Ma chi passa la vita a stimare la probabilità di bancarotta di uno stato sovrano non vede un default imminente.

Basta guardare il prezzo dei Cds, credit default swap, titoli derivati che prezzano l’assicurazione contro la possibilità che un paese non rimborsi il suo debito nei prossimi cinque anni. Dal prezzo si ricava la probabilità della bancarotta. Il prezzo attuale dei Cds sulla Russia indica una probabilità di default del 6,87 per cento, i Cds sul debito dell’Ucraina del 9,18 per cento.

Possiamo quindi escludere dall’orizzonte a breve termine due degli scenari che metterebbero fine all’aggressione russa: la vittoria della resistenza ucraina e la bancarotta della Russia con successiva rivolta di élite o popolare che (forse) potrebbe rovesciare Putin. Dunque, cosa può succedere e a quale strategia dobbiamo lavorare?

Che guerra è 

Se guardiamo la guerra dalla prospettiva occidentale, di Stati Uniti ed Europa, la risposta dipende dalla diagnosi sulla natura del conflitto. Ci sono due spiegazioni tra loro opposte ed escludenti. La prima, che chiameremo “realista”, è che Putin abbia invaso l’Ucraina per impedirle di scivolare verso l’Occidente e, in particolare, la Nato.

Secondo questa scuola di pensiero, la Russia si sentiva minacciata dall’espansione dell’alleanza militare occidentale nata proprio in funzione anti-russa nel 1949: i propagandisti di Mosca mostrano sempre una mappa che indica l’avanzata della Nato verso Est a insidiare la pacifica Russia. L’Ucraina è un paese candidato alla Nato, così come lo è dal 2008 la Georgia, entrambi sono stati invasi da Putin.

Il problema della spiegazione “realista” è che confonde la causa con l’effetto: Ucraina e Georgia hanno cercato l’adesione alla Nato perché minacciate da Mosca, tanto che il parlamento di Kiev ha approvato la richiesta di adesione nel 2017, tre anni dopo l’annessione illegale della regione della Crimea da parte della Russia.

E così la Georgia, che si è trovata invasa da Putin appena tre mesi dopo aver fatto il primo passo formale per l’adesione alla Nato, nel 2008.

Paura della democrazia

L’alternativa alla spiegazione realista è quella “idealista”: Putin non è affatto preoccupato della Nato, tanto che negli anni ha perfino ipotizzato una adesione della Russia, sa perfettamente che i missili di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti possono colpire la Russia anche senza essere installati a Kiev o in Georgia. Quello che Putin teme sono le “rivoluzioni colorate”, partite nel 2003-2004 proprio da Georgia e Ucraina, cioè spinte dal basso per rendere più democratici e filo-occidentali i paesi ex-sovietici.

La democrazia e la società liberale sono la minaccia esistenziale per il regime cleptocratico di Putin: il presidente della Federazione russa può difendere il suo sistema di governo repressivo e predatorio soltanto se argomenta che è il migliore e l’unico compatibile con la geografia e la cultura russa (nel senso lato e imperiale che Putin attribuisce al termine).

La semplice esistenza di paesi simili alla Russia per storia, cultura, lingua e religione che seguono una traiettoria evolutiva diversa, di stampo più occidentale e liberale, mostra ai cittadini russi, alle imprese e al mondo che un’altra Russia è possibile. Perfino un paese corrotto, dalle istituzioni fragili come l’Ucraina ormai appare più legittimo, benvoluto e stimato nel consesso delle nazioni rispetto alla Russia putiniana, trattata ora e nel prossimo futuro come il Venezuela o l’Iran.

Le due letture della crisi portano a due strategie opposte.

Se è corretto l’approccio “realista”, la guerra si interrompe soltanto con un “cessate il fuoco” e una trattativa che sancisce la neutralità dell’Ucraina, destinata a un limbo perpetuo tra Europa e Russia che però la sbilancia più verso Mosca, con Putin che ottiene, oltre alla Crimea, anche un controllo di fatto delle regioni indipendentiste di Donestk e Luhansk.

Chiaramente, non potrebbe essere Volodomyr Zelensky a guidare il paese in questa nuova fase post-bellica. La Nato e l’Ue rinuncerebbero a ogni velleità di attrazione e l’Ucraina diventerebbe uno stato svuotato, privo di ogni sostanziale autonomia perché dipendente dalla clemenza di Putin.

Sarebbe la cosa più simile a una vittoria che Putin oggi può desiderare, che però non ridurrebbe il senso di minaccia che la Russia avverte e quindi il rischio di un nuovo conflitto sarebbe sempre presente.

L’approccio “realista” non offre molte altre opzioni, se non l’escalation militare che culmina, inevitabilmente, nella “no fly zone” prima e in un conflitto aperto dopo, tra Nato e Russia, chissà se fino al ricorso alle armi nucleari.

La risposta europea 

Se l’aggressione di Putin è, in ultima analisi, il violento tentativo di strappare i suoi paesi satellite dalla traiettoria che li conduce verso la democrazia e la società aperta, allora qualcosa possiamo fare.

Possiamo dimostrare a Putin che la guerra accelera questo processo e lo rende inevitabile e, soprattutto, irreversibile. Sta già succedendo: dopo l’invasione, oltre all’Ucraina anche Moldavia e Georgia hanno richiesto l’adesione all’Unione europea.

Certo, sono processi lunghi, ed è necessario che l’Ue apra le sue porte a chi ne condivide valori e forme di governo. Ma in quest’ottica “idealista”, l’unico modo per sconfiggere Putin è ancorare saldamente l’Ucraina e gli altri paesi che lo richiedono all’Ue, che non è la Nato, non è un’alleanza militare anti-russa, ma è una visione del mondo, una prospettiva istituzionale e politica legittima.

Il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo dell’Ue che si è riunito a Versailles negli ultimi due giorni non si sbilancia: invita la Commissione a fornire la sua opinione sulla richiesta di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia, ma non va oltre dichiarazioni di principio. Dire che l’Ucraina “appartiene alla nostra famiglia europea” vuol dire tutto e niente.

Sul piano militare non abbiamo molta possibilità di vincere, a meno di non scatenare la Terza guerra mondiale che nessuno vuole.

Ma se Putin ha paura della democrazia, quella è la nostra specialità, non la sua. E se spostiamo il conflitto su questo terreno, possiamo ancora vincere, con la forza della politica invece che con quella delle armi. E salvare molte vite. Non è ottimismo, è l’unica opzione davvero disponibile.

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