Il destino del popolo ucraino e la diplomazia degli affari

Proseguono, incessanti e all’apparenza non particolarmente produttivi, i negoziati per giungere a una pace in Ucraina. E si cercano formule creative per uscire da un’impasse ormai protratta. L’ultima in ordine di tempo sarebbe quella di creare una zona economica speciale e demilitarizzata in quella parte del Donbass che la Russia pretende e che le forze ucraine ancora controllano. Una soluzione in teoria di compromesso, dai termini però inevitabilmente vaghi e problematici (come si preserverà l’effettiva autonomia di tale zona?). E da integrare con altre concessioni a Kiev – incluso un processo accelerato di ammissione all’Unione europea - che possano compensare almeno in parte le tante prospettate per Mosca. L’impressione di una discussione in una certa misura circolare però rimane. Dalla data dell’insediamento di Donald Trump, i contorni generali del piano per una possibile pace e le sue tante contraddizioni sono rimasti sostanzialmente immutati. Una pace basata sul riconoscimento di diverse acquisizioni territoriali russe, il congelamento sine die dell’allargamento della Nato all’Ucraina, il disimpegno militare statunitense e l’assunzione da parte dell’Europa di gran parte degli oneri relativi alla ricostruzione dell’Ucraina e alla garanzia della sua sicurezza e sovranità future. Una pace quindi patentemente sbilanciata a favore della Russia. Fondata sull’assunto che gli Usa non hanno più alcun interesse a impegnarsi nel conflitto, che la prosecuzione di una guerra di attrito e logoramento non può che avvantaggiare la parte più forte e beneficiaria di una maggiore “spendibilità” delle vite dei suoi soldati, e che il dialogo con Mosca debba essere funzionale a sottrarla all’abbraccio sempre più stretto con la Cina. L’Ue congela gli asset russi: la risposta allo zar Putin per finanziare l’Ucraina Trump avrà pure oscillato nelle sue dichiarazioni e nei suoi gesti, assumendo talora una postura più ferma nei confronti di Putin e rafforzando il regime sanzionatorio contro la Russia, con le misure recenti prese contro i giganti petroliferi Lukoil e Rosneft. Non ha però mai derogato da quei contorni generali e dalla visione delle relazioni internazionali che li ispira. Una visione al tempo stesso neo-imperiale, antieuropea e patrimonialista. Lo schema neo-imperiale, così nitidamente delineato nella recente dottrina di sicurezza nazionale (la National Security Strategy, Nss), si esprime nella forma di un dialogo bilaterale Stati Uniti/Russia dove gli altri attori – l’Ucraina e l’Europa – possono al meglio cercare di emendare, come sta appunto facendo Zelensky, ipotesi di accordo tratteggiate esclusivamente a Mosca e a Washington. La dimensione antieuropea si manifesta nella deliberata marginalizzazione dell’Europa rispetto a questo dialogo e nel convincimento, espresso a più riprese da Trump, che questa Europa non possa né debba avere voce in capitolo. Anche perché, asserisce la Nss, è un’Europa che ha nutrito, e continua a nutrire, «aspettative irrealistiche riguardo alla guerra», che derivano dall’incapacità di riconoscere la strutturale superiorità russa. Le bordate di Lavrov: «Le idee dell’Europa per la pace sono inutili» La dimensione patrimonialista, infine, è quella definita da una rete d’interessi privati, finanziari e imprenditoriali, molto prossimi a Trump e alla sua famiglia, che come su altri dossier – a partire da quello mediorientale – sono coinvolti in una discussione della quale costituiscono una variabile cruciale. Non a caso, una parte dei negoziati coinvolge ora figure estranee alle due diplomazie, come il genero di Trump, Jared Kushner, che con la sua società di investimenti Affinity Partners è attivo su diversi tavoli, e Kirill Dmitriev, che guida il fondo sovrano russo. Affari e investimenti che nell’approccio e nella logica negoziale dell’amministrazione Trump non debbono conseguire a un accordo, ma costituiscono invece un tassello cruciale del processo che lo produce: incentivo e strumento di una diplomazia altamente transazionale, fondata quindi su un preciso scambio tra le parti, della quale beneficiano non solo gli Usa e il loro governo, ma anche specifici soggetti privati e il presidente stesso.