C’è un ragazzo in questo paese postumano che da qualche giorno in qua, e per tutta la vita, convivrà con una cicatrice lunga quasi tutto il viso, dallo zigomo sin sotto al naso. Si porterà sul bel viso questo ricordo, per sempre.

I punti di sutura, interni ed esterni, sono oltre cinquanta. Michele Dal Forno, anni 21, lo scorso 17 aprile ha fatto quello che oramai non fa quasi più nessuno. Aiutare una persona in difficoltà. Nel caso specifico una ragazza.

L’ha vista parlare con due coetanei che le urlavano contro e si è avvicinato chiedendole se le servisse aiuto. Tanto è bastato. Uno dei due aggressori, un ragazzo di appena 16 anni, ha estratto il coltello e l’ha sfregiato. Michele era in zona per fare una consegna, per pagarsi gli studi fa il rider per una pizzeria. Per lui la consegna di quella sera resterà indimenticabile.

Quanto si potrebbe scrivere su questa storia è evidente. E sicuramente, almeno si spera, se ne scriverà. È una storia che si presta a mille letture più o meno ideologiche. I ruoli di aggredito e aggressore sembrano quasi tracciati da uno sceneggiatore con poca inventiva.

Un gesto umano

Il gesto di Michele è stato eroico, aggettivo quest’ultimo assai controverso. Forse sarebbe più corretto dire che il gesto di Michele è stato umano, umanissimo, dettato da pietas verso un suo simile. Un anacronismo rispetto al presente. Qualcosa che nessuno fa più. Di fronte alle foto di Michele e il suo viso in molti diranno che il suo esempio è solo l’ultimo in ordine di tempo che dimostra come non valga mai la pena interessarsi alle difficoltà altrui. Poi ci saranno i soliti che ricameranno sull’origine del ragazzo offendente, albanese, giusto per intestarsi un fatto di cronaca e renderlo strumentale ai propri interessi.

Alla fine, c’è da giurarci, c’è anche chi arriverà a ridere di Michele e il suo gesto, perché è da coglioni fare quello che ha fatto lui. Perché se vedi due balordi che urlano contro una ragazza abbassi gli occhi e ti fai i cazzi tuoi, il mondo funziona così se non te ne sei ancora accorto.

Si potrebbe andare avanti di retorica per settimane, farci un romanzo d’appendice. Quello che colpisce è altro.

La sepoltura negata

Michele arriva con un vento alpino, fresco, puro, su questi miasmi di presente al di là di ogni ragionevole umanità. Tra capi di partito che difendono i propri figli con la bava alla bocca, ribaltando ruoli e accuse, e altri padri che vorrebbero seppellire il proprio figlio ma non possono, assieme ad altre centinaia di persone, perché nella capitale del nostro paese è diventato impossibile pure questo. Dare degna sepoltura a un familiare. Per giunta un figlio.

Caro Michele, a parte tutte le chiacchiere, grazie.

 

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