L’assassinio del professor Samuel Paty impone a tutta Europa di chiamare per nome quel che è successo alle porte di Parigi una settimana fa.

È stato ucciso: un professore che ha espresso fedelmente la religione civile della laicità francese, senza piegarsi alle intimidazioni? Certo, ma c’è in quel delitto qualcosa che va al di là del culto pubblico dei “valori repubblicani” del patria dei diritti.

È stato fornito un argomento al semplicismo moralista delle destre italiane che due volte a settimana denuncia la mollezza dell’Occidente, il buonismo vile, la perdita dei valori, di cui è causa il pericolosissimo fraternalismo di papa Francesco?

Anche, ma accontentarsi di questa strumentalizzazione volgare o della sua ripulsa sarebbe insufficiente.

Quello che è stato compiuto è un “delitto europeo”: perché se c’è una cosa che connota questa Unione è una idea dell’insegnamento come leva di liberazione dei singoli e delle società.

Questa cultura dell’educazione ha fisionomia diverse e metriche incompatibili: se ci fossero da noi 35 ragazzi per classe come in Francia ci sarebbero suicidi di massa di pedagogisti.

Se qualcuno proponesse una scuola comunale alla danese si renderebbe ridicolo. E la esosità della istruzione privata britannica è un miraggio di famiglie ricche e scassate che sperano di surrogare la propria inefficacia nel formare con l’accelerazione di apprendimenti che remunerano le frustrazioni genitoriali.

Però in questo caleidoscopio di forme e metodi, di legislazioni e regolazioni, una convergenza intellettuale e morale di fondo percorre i diversi sistemi e poi trova, quando si arriva all’età dell’Erasmus, una sua espressione con la favola di quei pochi milioni di studenti a spasso in un continente dove per secoli era pericoloso aggirarsi portando con sé una differente confessione, una differente religione, un differente passaporto.

Le lezioni del professor Paty sui massacri di Charlie Hebdo erano parte di questa convergenza e della convinzione – strutturale, individuale – che non si può lasciare che la scuola sia il luogo dove si replicano le culture di origine, o dove si ammaestra la diversità fino ad omologarla: ma può e deve essere il luogo in cui la cultura della diversità diventa origine di rispetto per l’altro e di lotta coraggiosa alla discriminazione.

Per questo quello che è ha fatto un diciottenne ceceno a Conflans -St. Honorine è stato aggredire, assassinare e decapitare un professore europeo – ed ha fatto bene Lucia Azzolina a mandare subito un messaggio di condoglianze della scuola italiana a quella francese.

Perché è così che si sfavilla il cinismo strumentale di chi ancora oggi alimenta quell’islamofobia moderata che anziché drenare odio (e antisemitismo) lo alimenta.

Però si potrebbe e si dovrebbe fare di più, perché la natura europea del delitto e della vittima trovassero una risposta europea. Io non so come gli stati dedichino le loro scuole e le intitolino a figure della cultura, delle istituzioni o della storia: ma credo che non sarebbe impossibile che dal Parlamento europeo, che oggi è presieduto da David Sassoli, venisse l’invito ad intitolare i tutti gli stati membri una scuola al professor Samuel Paty, come gesto di pace e di caparbietà nella pace.

Sapere che in ogni paese ci saranno bambini e bambine che andranno nella scuola Samuel Paty non è molto: ma sarebbe un modo per dire che tutta l’Europa sa che la pace fra le culture, il colloquio fra le fedi e la sacralità del pluralismo sono il suo domani, se ne avrà uno.

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