Uomini, il marcio è tra noi. Bisogna avere il coraggio di affrontare un amico

All’ennesimo femminicidio – questa volta a Milano, un accoltellamento in pieno giorno, la dinamica più solita: un’ex marito, Luigi Morcaldi, che controllava la moglie, Luciana Ronchi, e non si rassegnava alla fine dell’unione – prende quasi una vertigine. Certamente avviene se si è uomini, e magari si è mariti. Siamo alle solite? Sono i soliti discorsi? Pare di averli fatti tutti, questi discorsi, e più volte, e sempre più spesso. Femminicidio di Pamela Genini, rifondare le relazioni sociali per spezzare un ordine Motivi conosciuti Le leggi non bastano – anche perché le donne spesso non denunciano. È una questione di cultura, di norme sociali. Gli uomini non si rassegnano alla libertà femminile, all’indipendenza delle donne, che rimanderebbe a una indipendenza che evidentemente gli uomini stessi non hanno, dato che non si possono concepire all’infuori di queste unioni, talmente tanto da opporre una violenza primigenia, elementare – un coltello – alla minaccia di vivere una vita fuori da un’unione con una donna – magari anche madre dei loro figli. È stato detto pure che le proporzioni – materiali e simboliche – del femminicidio sono tali da renderlo una questione di responsabilità collettiva, di ingiustizia strutturale. Se c’è un gruppo i cui componenti sono costituivamente a rischio di violenza in quanto appartenenti al gruppo – in quanto donne –, e la violenza deriva da una struttura sociale, che sancisce e normalizza l’oppressione, la sottomissione, la subalternità, che cos’è questa se non un’ingiustizia strutturale, che riguarda appunto la discriminazione e la diseguaglianza attuata da un gruppo su un altro gruppo? Abbiamo fatto un discorso lungo e tormentato su che cosa fosse genocidio, su che cosa fosse la violenza indirizzata a un gruppo da parte di un altro. Forse, anche in questo caso, dovremmo fare discorsi del genere? Ma forse è un altro il livello a cui dovremmo spingerci, una volta che proviamo quella vertigine – la vertigine di vedere un individuo troppo simile a noi, per storia, collocazione sociale, immaginario, fare qualcosa di quel genere, e farla troppo spesso, farlo a troppe donne. Forse è ora di andare oltre, di ammettere non solo la responsabilità statica di essere uomini, di godere indebitamente di benefici ingiusti, di essere membri del gruppo oppressore. Forse è ora di riscuoterci dallo stupore, di ammettere il marcio che è in noi come genere, di pensarci come genere e non come universale, e di prenderci sulle spalle tutta la storia del nostro genere e tutte le sue conseguenze. Non è più, a questo punto, solo questione di autocoscienza, di decostruzione del maschio. O di dare uno spazio di elaborazione a quel trauma prima che prenda le vie della violenza. Lo stupro e il consenso, l’Italia è inadempiente. Ecco come funziona in Ue I doveri di un uomo Di fronte al coltello che infierisce sul volto di una donna, chiunque assista ha doveri maggiori. E si assiste a queste cose in molte e sottili maniere. Si dice che Morcaldi alloggiasse da un amico. Si dice che se ne lamentasse. Si dice che, appunto, pedinava e controllava. Quanti uomini come lui l’hanno visto? Quanti amici? Quanti conoscenti? Quei segni premonitori erano davvero impercettibili, quell’ossessione sorda era davvero indistinguibile? Le donne non denunciano, spesso. E dovrebbero farlo. La struttura di prevenzione ha falle. Servono più risorse. Ma, se è una questione sociale, di cultura, di normalizzazione della violenza maschile, allora è una questione di tutti i giorni, di comportamenti quotidiani, di barriere sociali da creare. È una cosa che dobbiamo fare noi, tutti noi. Sono antenne che dobbiamo avere noi, tutti noi. Tutti gli amici, tutti i colleghi di lavoro, tutti gli uomini. Non sto pensando a uno stato di polizia, non sto pensando a persecuzioni, né dimentico la responsabilità individuale, il libero arbitrio, e che non tutti i divorzi finiscono così. Ma se in un gruppo alcuni accoltellano altri, non è giustificato un allarme sociale, un controllo, delle antenne tese? Se non così, come si creano barriere sociali contro ciò che è ovviamente immorale, come si realizza il progresso morale? Combattere il patriarcato è anche una questione di dati Il prezzo da pagare per una morte potrebbe essere il coraggio di farsi gli affari di un amico, il coraggio di mettere becco, il coraggio di dire: «No, non puoi controllarla, no, non hai ragione, e sì anche tu puoi vivere senza di lei, come lei senza di te, e se non puoi vivere risolviamola diversamente, non è lei la responsabile del tuo malessere, come non era lei la responsabile del tuo benessere, credimi». È un prezzo eccessivo? La vergogna da maschi che provate di fronte all’idea di giudicare e censurare il comportamento di un altro maschio, la repulsione per considerare questioni di cui avete paura, paura di esserne presi, di esserci vicini, non è un prezzo troppo alto per evitare tutto questo.