Nel suo commento alla lettera della dirigente scolastica del liceo Da Vinci di Firenze, Annalisa Savino, il ministro Giuseppe Valditara ha detto tre cose. Ha detto che la lettera era impropria, perché le considerazioni che essa contiene non competono a una dirigente scolastica.

Ha replicato nel merito alle idee di Savino, dicendo che non ci sono pericoli di ritorno del fascismo nel nostro paese. Ha minacciato la dirigente di possibili sanzioni disciplinari. Su quest’ultimo punto, il ministro ha frettolosamente fatto marcia indietro.

Il secondo rilievo è denso di contraddizioni: un paio di contraddizioni pragmatiche, giacché Valditara nega il ritorno del fascismo e nello stesso tempo lo realizza, usandone implicitamente e surrettiziamente metodi (la minaccia), e dal momento che replica nel merito a considerazioni che reputa formalmente improprie, passando dunque subito al contenuto e non mantenendosi alle forme.

Ci sarebbe da chiedere, al ministro: la lettera è impropria nella forma, e non ci pronunciamo sul contenuto? Oppure è impropria nella forma, e invece giusta nel contenuto (il che renderebbe l’improprietà veniale, forse). Oppure impropria nella forma, perché lei la ritiene errata nel contenuto? Il che unisce forma e contenuto e mina l’accusa di improprietà formale. E, infine, quel rilievo – il fascismo non torna – sembra anche un po’ un rimpianto e un desiderio nascosto, in bocca al politico Valditara. Questa è una contraddizione, diciamo così, locutoria o sentimentale.

Improprietà formale? O critiche al contenuto?

Ma prendiamo sul serio l’accusa di improprietà e vediamo dove porterebbe. Implicitamente, Valditara assume e suggerisce che i pubblici funzionari debbano essere del tutto neutrali, e non prendere posizione (o almeno non prendere posizione pubblica) su questioni e valori politici.

Si tratta di una richiesta corretta e possibile? Immediatamente viene da pensare allo stesso Valditara, che funzionario è stato, prima di assurgere al ruolo attuale. E ciò non gli ha impedito di dare visibilità pubblica alle sue idee politiche, tramite libri, dichiarazioni e altri mezzi.

E, almeno a mia memoria, nessuno gli ha contestato la proprietà della cosa, per quanto molti abbiano criticato il contenuto di alcune sue zoppicanti ricostruzioni storiche. E qui sarebbe l’ennesima contraddizione del ministro, che a Gentile, come rigore logico, non assomiglia, per quanto gli possa essere assimilato per altri versi, come ha fatto Christian Raimo su questo giornale.

La neutralità non si estende all’antifascismo

Ma, a parte queste contraddizioni dell’uomo, è l’idea di neutralità assoluta del funzionario sostenibile? Una giustificazione di essa potrebbe essere che solo essendo neutrale il funzionario può rappresentare tutti, o rappresentare la Repubblica. Ma è la Repubblica stessa che non è neutrale, perché, nonostante i mal di pancia crescenti di molti, la nostra Costituzione prende posizione contro il fascismo, e, come è stato ricordato, lo stesso Valditara ha giurato su quella Costituzione.

E, anche se non ci fosse l’ingombrante ostacolo di una Costituzione antifascista (che speriamo permanga lì a difenderci da questa e altre derive), sostenere che il funzionario debba essere neutrale per rappresentare tutti, cioè per non discriminare nessuno dei cittadini che serve, è essa stessa una posizione non neutrale, giacché deriva evidentemente da valori come il rispetto delle idee altrui, la tolleranza e l’eguaglianza. Quindi, di nuovo, un funzionario che fosse talmente neutrale da non esercitare la sua funzione difendendo tutti, e soprattutto gli inermi, e proclamando valori come il rispetto e l’eguaglianza sarebbe … non neutrale.

La distinzione fra atti formali e non

Ma anche ammettendo che una certa neutralità ci debba essere, anche concedendo che il funzionario non debba fare della sua carica megafono delle sue posizioni personali, si potrebbe avere una visione più sofisticata del ruolo dei funzionari. Ci si potrebbe ricordare, per esempio, che ci sono atti linguistici e giuridici diversi e che una lettera di un dirigente scolastico non è un atto dirigenziale come potrebbe essere una sanzione a uno studente, o una determina finanziaria, o un’assegnazione di classe a un docente.

E si potrebbe tenere a mente che nessun pubblico funzionario, nei suoi atti formali, è l’unico depositario della decisione, ma è inquadrato in una complessa trama di leggi e regolamenti, che derivano da fonti superiori, arrivando infine alla Costituzione. E che i suoi atti, ove contrari alle leggi vigenti, sono ovviamente nulli e illegittimi, e questo senza bisogno del giudizio estemporaneo di un ministro, o di sanzioni ad hoc. Bastano le corti e i vari procedimenti amministrativi.

Rimane allora la possibilità che i pubblici funzionari siano esseri pensanti e cittadini e che partecipino, con atti non formali, alla discussione. E questa possibilità è ovviamente da concedere, e anzi virtuosa e utile, perché anche dai pubblici funzionari derivano opinioni, idee, giudizi degni di discussione. Specialmente per chi è convinto che tutte le idee meritino di essere discusse e confutate, soprattutto quelle più odiose e sbagliate, e che sarebbe meglio discuterle le idee e non minacciarne gli autori. Anche perché, chi minaccia, spesso è a corto di argomentazioni.

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