L’affaire Chaouqui e l’opera di inquinamento sono fatti risaputi a chi abbia seguito il processo. Lo scandalo è stato soffocato occultando con omissis il contenuto delle chat tra la signora, monsignor Perlasca e una sua amica, Genoveffa Ciferri, che ora rende pubblici migliaia di messaggi su questo oscuro rapporto. Per tali motivi noi difensori abbiamo in animo, con delle denunce, di sollecitare l’intervento della magistratura per i fatti realizzati sul territorio italiano
Gentile direttore,
l’inchiesta giornalistica che Domani nell’assoluto silenzio degli altri organi di informazione sta conducendo sull’ennesimo inquietante retroscena di ciò che viene definito «il processo Becciu» ma meglio sarebbe dire «il processo dei dieci», dal numero dei cittadini italiani imputati e condannati con un «ingiusto processo» ha molti meriti.
Uno in particolare: (di)mostrare che nel cuore della cristianità e dell’Europa degli Stati di diritto, opera una giurisdizione svincolata dalla Rule of The law e dal rispetto del diritto di difesa, una vera e propria autocrazia giudiziaria che condanna, arresta, sequestra beni senza rispettare la volontà ed i principi degli Stati dell’Unione europea a cui a parole dichiara di ispirare il suo sistema giudiziario. Un tema oggi di enorme portata e sul quale lo Stato della Chiesa dovrebbe essere un faro di civiltà e non un pessimo esempio.
Più volte si è scritto (ad opera anche di insigni vaticanisti che hanno firmato articoli e volumi) dei quattro provvedimenti legislativi (rescritti) adottati dal Papa dietro riservata e specifica sollecitazione del promotore di giustizia, l’organo della pubblica accusa alle sue dirette dipendenze, a cui sono stati concessi “pieni poteri” in deroga ad alcune garanzie difensive.
In particolare è stato conferito potere di adottare misure cautelari personali e strumenti d’indagine estremamente invasivi come le intercettazioni telefoniche, addirittura all’interno della Segreteria di Stato, il tutto estromettendo il controllo del giudice e tutto questo a valere solo per un unico processo e solo per dieci cittadini italiani. Un arbitrio che nessuno Stato di diritto può e deve tollerare. Invece lo si è tollerato perché evidentemente ci sono autocrazie ed autocrazie, alcune da mettere al bando, altre su cui sorvolare.
E poi perché, parliamoci chiaro, se gli imputati incarnano certi modelli che il dilagante populismo ripudia, dall’alto prelato “con le mani in pasta” al finanziere spregiudicato, al funzionario trafficone, perfino la femme fatale, tra leggenda e realtà meglio vinca la favola su cui impancare il mito populista di inesistenti rivoluzioni e palingenesi etiche.
L’affaire Chaouqui, i suoi vantati legami con i vertici della giustizia e dello Stato vaticano, l’opera di inquinamento processuale, la sua «missione per conto di Dio» spinta sino alla subornazione di un teste tramite minacce e pressioni, sono fatti risaputi e ben noti a chi abbia seguito il processo.
Lo scandalo è stato soffocato occultando con gli omissis del promotore il contenuto delle chat tra la signora Chaouqui, monsignor Perlasca, alto dirigente della Segreteria di Stato e una sua amica, Genoveffa Ciferri che ora ha improvvisamente deciso di rendere pubblici migliaia di messaggi su questo oscuro rapporto. È stato soffocato dal tribunale che ha espressamente vietato ai difensori ogni domanda sui rapporti tra Chaouqui e i vertici della Chiesa di cui ella si vantava di essere diretta emanazione. Per tali motivi noi difensori abbiamo in animo, tramite denunce, di sollecitare l’intervento della giustizia italiana, ancora indipendente, per i fatti illeciti che riteniamo siano stati realizzati, almeno in parte, sul territorio italiano ai sensi dell’art. 6 cp.
Lo faremo non solo per adempiere a un dovere professionale ma perché crediamo che in un tempo buio in cui il senso della giustizia e del diritto sembrano persi anche nei paesi liberi, non sia tollerabile che il simbolo della rivoluzione cristiana e di tutti gli ideali più nobili dell’umanità spenga «la democrazia nell’oscurità».
Grazie per l’attenzione, Cataldo Intrieri, difensore del dott. Fabrizio Tirabassi
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