Per quanto sia difficile immaginarlo lettore di Carl Schmitt, a Salvini non è certamente mai dispiaciuto sapere che l’essenza della politica consiste, secondo il famoso studioso tedesco, nel rapporto amico/nemico. Polemico per temperamento, convinto che battere i pugni sul tavolo ed eccitare le folle sia il modo migliore per guadagnarsene il consenso, finora non aveva mai disdegnato di indossare gli abiti del Cattivo per ottenere visibilità e restare al centro della scena.

Ha continuato a farlo anche quando l’insuccesso del proclama del Papeete sui “pieni poteri” avrebbe potuto insegnargli che i modi bruschi non sempre rendono.

Scoprire che i nemici puoi averli anche in casa può però rendere molto meno piacevole la lettura agonistica dei giochi di potere. E Salvini, negli ultimi mesi e settimane, di ipotetici alleati pronti a gettargli bastoni fra i piedi ne ha trovati più d’uno: non solo Silvio Berlusconi, che non gli perdonerà mai il sorpasso elettorale; non solo i vari centristi che la logica di coalizione gli impone di sopportare e la cui inaffidabilità in caso di crisi è certificata; non solo Meloni, che punta a scavalcarlo nei toni da capopopolo.

Ora le insidie maggiori gli vengono dall’interno, in primis dal vicesegretario Giancarlo Giorgetti, che non perde occasione di screditare l’ipotesi di un futuro governo a guida dichiaratamente sovranista e sembra recitare più la parte del portavoce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di altri ambienti che contano che quella di numero due della Lega. E anche la forte figura del presidente del Veneto Luca Zaia getta ombre sulla sua leadership.

Per ora il tribuno milanese sembra aver deciso di reagire alle sfide con un inaspettato testacoda moderato. Ma la prospettiva è molto incerta e contraddice anni di prese di posizione contro il politicantismo e le alchimie di palazzo. Oscurato come guastafeste dall’altro Matteo, un Salvini non più populista rischierebbe di scivolare nell’impotenza.

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