Appena è stata data la notizia della scomparsa di Martina Carbonaro sono partite le ricerche, sono stati fatti appelli, rese virali le foto. Abbiamo sperato, nonostante non sia la prima volta che sparisce una donna, e anche se sappiamo già come va a finire quando sparisce una donna: significa, quasi sempre, che una donna è stata uccisa. E, purtroppo, è arrivata la notizia che è stato ritrovato il corpo di Martina Carbonaro, quattordicenne di Afragola.

La dinamica del femminicidio

L’assassino è l’ex fidanzato diciannovenne Alessio Tucci che avrebbe dichiarato «l’ho uccisa perché mi ha lasciato». Ancora una volta è libertà di una donna, la libertà di andare via, di sottrarsi a una relazione in cui non si sta bene, a essere indicata come causa: un’altra donna uccisa in quanto donna. A colpire di questo femminicidio sono l’età di Carbonaro e l’età del femminicida: due adolescenti. 

E sono gli adulti a doversene fare carico. Se sappiamo che i femminicidi sono la parte più visibile e grave della violenza contro le donne, sappiamo che viviamo in una società che nei fatti legittima e normalizza la violenza degli uomini. Così, mentre il paese dibatte su cosa possa essere detto ai figli e le figlie in materia di stereotipi, educazione sessuale, educazione all’affettività nelle scuole, mentre gli adulti continuano a discutere, fare circolari, emanare linee guida, attivarsi per impedire che nelle scuole si parli di questi argomenti, generazioni di giovani uomini e giovani donne continuano a non avere strumenti, o ad avere quelli dati dalla famiglia, dai pari, dal porno, dal caso e crescono normalizzando la violenza.

La morte di Martina Carbonaro non è successa perché “l’ha lasciato” ma perché, secondo Un Women, le ragazze sono più a rischio di violenza nelle relazioni di quanto non lo siano le donne adulte, la stima a livello globale ci dice che una ragazza su quattro prima dei venti anni ha già sperimento una forma di violenza fisica, sessuale, o psicologica da parte del partner.

I dati 

Per l’Italia il riferimento è una ricerca di Save the Children, che racconta come un maschio su tre pensa che la gelosia sia un segno di amore e ben la metà delle ragazze pensa invece che «sia bene sacrificarsi per il bene della coppia», il 30 per cento crede che le ragazze provochino la violenza sessuale con il loro modo di vestire o di comportarsi, mentre uno su quattro pensa che «se una ragazza non dice chiaramente “no” vuol dire che è disponibile al rapporto sessuale (26 per cento tra i ragazzi e 21 per cento tra le ragazze)».

Sono dati gravi, che però risultano essere in linea con quelli degli adulti dove secondo l’indagine Istat “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza” per il 40 per cento degli uomini è colpa delle donne se vengono violentate. Se, per parlare di normalizzazione della violenza, allarghiamo lo sguardo oltre la violenza di genere, troviamo che nel 2023 il 46 per cento degli studenti maschi delle scuole superiori ha preso parte a risse. Un aumento di sette punti percentuali rispetto al 2019.

Abbiamo quindi dati che ci raccontano di una trasmissione tra adulti e giovani di un sistema di stereotipi, credenze e comportamenti intorno alla violenza contro le donne e di un crescente uso della violenza tra gli adolescenti.

A questi dati se ne aggiungono almeno altri due per cercare di rendere il quadro più complesso: il primo è che durante l’adolescenza le ragazze sviluppano la paura del futuro, una paura che, nella fascia 17-19, riguarda quasi la metà delle ragazze. Il secondo è il ridursi progressivo del numero di adolescenti, di bambini e di persone giovani: in generale le persone giovani sono una minoranza e vivono in un paese fatto in gran parte da persone adulte e sempre più anziane. Le adolescenti possono essere raccontate come una minoranza sempre più piccola e sempre più impaurita.

E qui torna l’importanza di una presa in carico: tutti questi adulti non sembrano davvero interessati a come stanno le ragazze e i ragazzi, a offrire loro possibilità, strumenti e orizzonti, a credere nella loro possibilità di vivere meglio, anzi, i loro corpi diventano terreno di scontro politico, di normatività e negazione. Citiamo un ultimo dato: la stragrande maggioranza degli e delle adolescenti vorrebbe ricevere educazione sessuoaffettiva fuori dalla famiglia e principalmente a scuola, è ora di iniziare ad ascoltarli.

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