- Che il lavoro non ci amasse, e che quindi, come in tutte le relazioni disfunzionali, ci fosse bisogno di sedersi intorno a un tavolo e parlare, l’avevamo iniziato a capire da ben prima del Covid.
- Ma di certo questi anni pandemici hanno impresso una straordinaria accelerazione a ogni cosa.
- Anche – se non soprattutto – alla ridefinizione del nostro rapporto con il lavoro.
«Ci sono cose più importanti che vivere»: così disse il vicegovernatore del Texas Dan Patrick durante i primi tempi della pandemia da Covid-19.
Ce l’aveva con i lavoratori che si rifiutavano di continuare a lavorare come se nulla fosse anche in condizioni sanitarie pericolose: «molti nonni», continuò il vicegovernatore, sarebbero stati disposti a rischiare la vita per mandare avanti l’economia.
Una macabra equiparazione tra morte e lavoro ricordata dalla scrittrice Sarah Jaffe nell’apertura del suo libro Il lavoro non ti ama (minimum fax).
Che il lavoro non ci amasse, e che quindi, come in tutte le relazioni disfunzionali, ci fosse bisogno di sedersi intorno a un tavolo e parlare, l’avevamo iniziato a capire da ben prima del Covid.
Ma di certo questi anni pandemici hanno impresso una straordinaria accelerazione a ogni cosa, e quindi anche – se non soprattutto – alla ridefinizione del nostro rapporto con il lavoro.
Per rendersene conto basterebbe anche solo raccogliere le parole entrate nella lingua comune o nella discussione giornalistica: da smart-working (ma una volta rientrata l’emergenza molte aziende spingono i dipendenti a tornare al lavoro in presenza) a quiet quitting (rifiutarsi di fare straordinari non pagati o svolgere mansioni non previste dal contratto), da great resignation («grandi dimissioni», per chi se le può permettere) a work-life balance (nel senso di equilibrio vita-lavoro sempre più labile a causa di una generale «nebulizzazione» del lavoro, specie quello cognitivo).
Sono termini che forse non a caso hanno mantenuto anche in italiano la forma inglese: quasi fosse meglio mantenere una certa distanza, una certa confusione sulla realtà sottostante a tutti questi fenomeni. E cioè il ritorno fortissimo del conflitto tra capitale e lavoro.
Le battaglie contro sussidi e redditi di cittadinanza, e a favore o contro politiche di redistribuzione, sono altri momenti di questo contrasto.
Un conflitto che, negli ultimi anni, sempre più spesso molti scrittori hanno lasciato emergere nelle loro narrazioni perché è prima di tutto nella vita, sui corpi, che questa frizione si manifesta. Anche se spesso mascherandosi, prendendo le forme della melanconia, del disagio psichico, della depressione.
Questo “numero” dei Quanti, la collana/rivista di Einaudi di brevi testi in formato digitale disponibili su tutti gli store, parte proprio da qui: dal lavoro, o meglio dai Lavori, tema che unisce e cuce insieme i vari ebook, e da come trasformare la consapevolezza in reazione per non lasciarsi ammutolire dal nichilismo, e tornare a pensare il lavoro come un tempo della vita davvero emancipativo.
© Riproduzione riservata
“Fin dalla sua nascita Domani ha cercato di riempire un vuoto: in Italia il dibattito pubblico è dominato da quarant’anni dalle stesse facce e dalle stesse opinioni. Per questo abbiamo cercato di trovare e dare risalto a prospettive, voci e idee più giovani e fresche. Soprattutto nelle pagine della cultura abbiamo dato fiducia a scrittori e scrittrici, artisti di ogni genere, per esporvi ed esporci a punti di vista spiazzanti, originali, per farci magari divertire, talvolta arrabbiare, sempre pensare. Se pensi che questo lavoro sia importante, aiutaci a farlo crescere con un abbonamento annuale. Così sarai parte della comunità di Domani.”Stefano Feltri