Più o meno alla stessa ora in cui nella cappella Sistina il papa americano della pace «disarmata e disarmante» celebrava la sua prima messa nella nuova carica, tremila chilometri più a nord, nell’autocertificata Terza Roma della santa ortodossia, Vladimir Putin pretendeva idealmente di indossare i panni dell’erede di Josif Stalin.

E lasciava intendere di essere chiamato, al pari del predecessore, allo sforzo titanico di distruggere il nazifascismo risorgente, a ottant’anni di distanza da quella gloriosa grande guerra patriottica che ne aveva determinato la fine. Da qui la spettacolare esibizione di armamenti, la parata di undicimila soldati perfettamente allineati, la solennità degli inni militari suonati dalle bande. In un tripudio di orgoglio nazionalista e di contraffazione della storia, piegata alla volontà di un despota che si vorrebbe eleggere a eversore di despoti immaginari, imponendo un parallelismo esatto con gli anni Quaranta del secolo scorso attraverso un simbolismo esplicito e una narrazione distopica.

La suggestione della coincidenza temporale aiuta ad immaginare che all’uomo di bianco vestito della pace «disarmata e disarmante» in cuor suo lo zar Vladimir opponga la frase che fu di Stalin, «quante armate ha il papa?», mentre si bea dei successi del suo sforzo bellico e sciorina davanti agli ospiti gli strumenti di morte più micidiali che la tecnologia gli ha messo a disposizione per spezzare le reni all’Ucraina, il paese che nel folle paragone dovrebbe essere la riedizione nel Ventunesimo secolo della Germania nazista, Zelensky come Hitler. E con scontato sprezzo del ridicolo se lo zar ritiene che tutto il popolo russo è d’accordo con la sua analisi e dunque la sua politica.

È stupefacente come l’opportunità dei tempi cambi il senso persino alle ricorrenze. Il 9 maggio, la festa della Vittoria, fu abolita da Stalin già nel 1947, nonostante 27 milioni di sovietici morti fossero una evidente valida ragione per un ricordo. Breznev la riesumò nel 1965, ma in modo episodico se fino al 1990 si contano solo tre celebrazioni. Ed ecco il paradosso per cui quando l’Urss implode, la Russia erede legittima ma a pezzi la riesuma con cadenza annuale: ha un evidente bisogno di eroi per contrapporre uno splendido passato al misero presente.

Prima e per poco con Eltsin, in seguito e soprattutto con Putin il 9 maggio è l’occasione per la riedificazione di un orgoglio di popolo. Che diventa strumento di propaganda per diffondere il senso sia di un vittimismo storico sia della conseguente rivincita in nome di valori umani fondamentali (!). La Grande madre Russia è stata ridotta nei suoi confini e nella sua influenza e va in soccorso ai fratelli separati in Ossezia del Sud nel 2008, in Crimea nel 2014.

Per l’Ucraina tutta bisogna alzare il livello. Maledire Lenin che riconobbe dignità nazionale a un popolo che era in realtà russo: e seguendo il filo logico sarebbe in corso una guerra civile... Presentare la piazza di Kiev come un ribollente coacervo di neonazisti dietro gli stemmi di Stepan Bandera, il collaborazionista di Hitler che fu capo del Paese. Di conseguenza chiamare il popolo a raccolta per contrastare in armi il totalitarismo sull’uscio di casa. Come se il totalitarismo sotto mentite spoglie non si fosse insediato al Cremlino, il luogo dove si giudica la democrazia “obsoleta” e si decide di ammazzare gli oppositori. Nell’anno dell’ottantesimo, dell’anniversario tondo, Vladimir Putin aveva una necessità in più. Dimostrare di non essere isolato. Ha avuto una ventina di capi di Stato o di governo, alcuni significativi. Xi Jinping il cinese, e non avrà fatto piacere a Trump il cui obiettivo è spezzare l’asse Mosca-Pechino; il brasiliano Lula; il venezuelano Maduro; ovviamente il bielorusso Lukashenko; lo slovacco Fico e il serbo Vucic, unici due europei; più una sequela di paesi di provate posture autoritarie. La Piazza Rossa di ieri 9 maggio come specchio del dualismo del nostro secolo, non più diviso per punti cardinali ma per sistemi politici. La Piazza Rossa come mappa geopolitica del pianeta, dove capire chi sta con chi.

© Riproduzione riservata