I duemila partecipanti attesi al World economic forum, dal 22 al 26 maggio, quest’anno potranno mettere in valigia sandali al posto dei consueti scarponi da sci per una rara versione primaverile dell'evento a Davos, la stazione sciistica svizzera dei Grigioni.

Organizzare l’evento in presenza, dopo una pausa di due anni, è una notizia che scalda i cuori agli alfieri della globalizzazione che a Davos trova il suo quartier generale da decenni. Gli argomenti all'ordine del giorno della kermesse primaverile includono la difficile ripresa dopo la pandemia, la lotta ai cambiamenti climatici, il futuro del lavoro e delle nuove tecnologie, l'accelerazione del capitalismo degli stakeholder contro quello teorizzato da Milton Friedman che diceva nel 1970 a Chigago che la responsabilità sociale di un’impresa è fare utili e basta.

A Davos non la pensano affatto così e chiedono ogni anno più responsabilità alle imprese e meno capitalismo predatorio, ma quest’anno oltre all’assenza dopo 16 anni dell’ex cancelliera tedesca, Angela Merkel, il “cigno nero” che nessuno si aspettava, sarà quello della globalizzazione che arretra e perde colpi.

Per le multinazionali che stanno uscendo o sono uscite dal mercato russo come McDonald’s o Renault che hanno ceduto tutte le attività in loco il tema di fondo quest’anno a Davos sarà: che fare della Russia tagliata fuori dalla globalizzazione una volta finito il conflitto in Ucraina? Certo l’Occidente può fare a meno del mercato russo, che come dimensione è pari al Pil della Spagna. Ma in gioco c’è molto di più.

È la fine della cooperazione internazionale, della convinzione che gli scambi economici senza barriere doganali favoriscano la crescita di tutti e riducano il rischio di conflitti militari tra potenze globali.

Vladimir Putin, con l’invasione dell’Ucraina e con la supremazia leninista della politica sull’economia, ha fatto irruzione come un elefante in cristalleria, in una costruzione internazionale che aveva pazientemente aggregato i Brics, cioè il Brasile, la Russia, la Cina, l’India e il Sudafrica al mercato Occidentale. Un intervento di sfida e rottura dell’ordine mondiale che potrà significare decenni di aumenti di spese militari e nuova Guerra fredda.

Fuori i russi

Così, come avvenuto al torneo tennistico a Wimbledon, anche il Wef ha deciso di non invitare nessun rappresentante russo. Un nuovo muro è stato costruito nel cuore dell’Europa.

Russi che, al pari di cinesi e indiani, erano partner importanti del Forum. Saranno esclusi anche società come la banca Vtb, Gazprom e la Sberbank, la più grande banca russa, il cui direttore era stato dal 2011 membro del Board of Trustees, l’organo direttivo del Wef. Tutto cancellato.

Che farà Putin? Organizzerà come in passato un Forum economico alternativo a San Pietroburgo per coloro che vogliono fare business con Mosca? Ci sarà una Davos russa in opposizione a quella svizzera? E il presidente cinese Xi Jinping che a Davos aveva difeso la globalizzazione dagli attacchi di Donald Trump, che farà ora che a rompere gli equilibri ci ha pensato Putin, alleato cinese “senza limiti”?

Pechino è disposta a sacrificare i commerci globali con l’Occidente, a rischiare sanzioni per schierarsi a fianco dell’aggressione russa che vuole ricostruire la sfera di influenza dell’Unione Sovietica? Forse Pechino spera di “conquistare” le risorse minerarie ed energetiche russe: ma cosa farà Washington di fronte a questa eventualità?

Lascerà che Mosca finisca nell’orbita del dragone cinese con Xi Jinping che in autunno cercherà la rielezione a vita nonostante Il Fondo monetario internazionale abbia tagliato di un punto le previsioni di crescita oggi al 5,5 per cento?

David Sacks su Foreign Affairs scrive: «La Cina tenterà di ridurre la sua dipendenza dal sistema finanziario statunitense e dal dollaro e supportare un'alternativa allo Swift, il sistema di pagamenti internazionali basato sul dollaro. Gli Stati Uniti con i loro alleati dovrebbero studiare i modi per ridurre la loro dipendenza economica dalla Cina».

È la fine di un paradigma iniziato ai tempi dell’ex presidente americano, Bill Clinton e dei due suoi segretari al Tesoro, Robert Rubin prima e Larry Summers poi: fabbriche in Cina, finanza e moneta globale a Wall Street. Con i cinesi che comprano T-bills di Washington finanziando il debito a stelle e strisce. Sarà ancora così dopo l'invasione russa dell'Ucraina e le tensioni crescenti su Taiwan?

Questi sono gli interrogativi geopolitici ed economici che quest’anno cercheranno risposta al Wef il cui portavoce, Samuel Werthmüller, ha precisato che i finanziamenti russi non sono più giunti agli organizzatori. Anzi il Wef si appresta a divenire un podio per l'Ucraina. Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Wef, ha invitato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky davanti al gotha finanziario mondiale. E sarà molto probabilmente il tutto esaurito.

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