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Gianfranco Maris intuiva già allora i rischi impliciti in una politica della memoria limitata alla pur necessaria narrazione delle vittime, a partire da quando divengono tali, cioè da quando, dopo l’arresto, sono inermi nelle mani dell’oppressore.
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L’interesse prioritario per la condizione di vittima assoluta, propria della Shoah, ha fatto sì che nella percezione collettiva tutti i deportati fossero assimilati tra loro.
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Anche e soprattutto per questo è importante parlare oggi con maggiore impegno di deportazione politica, ovvero della deportazione di chi si è opposto, di chi ha detto no. Parlare di deportazione politica vuol dire ricostruire la storia di una cultura di opposizione.
Sicuramente oggi più di vent’anni fa, quando con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 è stato istituito il giorno della memoria nel 27 gennaio, data della liberazione di Auschwitz, ogni italiano sa delle deportazioni dal nostro paese e in Europa e dell’esistenza dei campi di concentramento in Germania e nelle terre occupate dai nazisti. Gli incontri di ex-deportati coi giovani delle scuole, le visite organizzate ai campi di sterminio, alcune opere di ricostruzione storica hanno consentito di co



