«La vista è la puttana dei sensi», disse Keith Richards, anima nera alchemica dei Rolling Stones. La frase sta a pennello anche a Jean-Luc Nancy, scomparso il 24 agosto a 81 anni.

Formazione kantiana e heideggeriana, brodo di coltura francese novecentesco, quindi pronto ad attraversare l’irrazionale sulla strada ferrata del pensiero moderno. Chiarezza, distinzione e fascinazione per l’irrazionale. Se i primi due elementi vi sembrano in contrasto col terzo, be’, avete ragione: è una strada che si avventura attraverso zone aride e ferali paradossi. 

Ma i maestri vanno studiati sul serio prima di mangiarseli in salsa piccante. E L’eredità di Heidegger non sta nella sua (innegabile) adesione al nazismo, come vuole la vulgata trita e ritrita. E nemmeno in un suo supposto «nazismo ontologico» (è la bislacca tesi di una studiosa di prestigio, Donatella di Cesare). L’eredità di Heidegger sta nell’avere teorizzato che il pensiero non ha nessun particolare privilegio di accesso all’essere. Nell’avere mostrato con semplicità che l’autocoscienza non è la prova dell’esistenza né di Dio, né di Io, ma è un buco nero.

Il soggetto che indaga non può non finire per perdersi nell’ombra che esso stesso proietta. Chi cerca sé stesso cerca un fantasma, e trova, invariabilmente, la morte.   

"Un libro antropologico”

Una volta applicata al pensiero umano la decostruzione freudiana, fenomenologica, esistenzialistica, rimane davvero poco. Forse solo una sorta di antropologia, come disse con spregio Husserl una volta letto Essere e Tempo dell’allievo Heidegger: «Un libro antropologico». 

Un’altra cosa che, di certo, rimane è la bestia nera di tutti i filosofi: il corpo. Con i suoi cambiamenti, invecchiamenti, con la sua incapacità a rientrare in canoni eterni o anche solo trascendentali (uguali per tutti e in ogni tempo).

Con i suoi piaceri e dispiaceri momentanei, le sue rotture e la sua spazzatura. Ed è questa la posizione di Nancy. Per lui il luogo dell’accadere dell’esistenza è il corpo.

E tutte le teorie filosofiche, con le loro pretese di universalità, non sono altro che una qualche percezione umana, messe in ghingheri per una tesi di laurea. Esempio: la tradizione filosofica (metafisica), per millenni, si è strutturata sulla vista. Il verbo greco “theorein” sta per “contemplare”. Appartiene alla sfera del visivo. Vedere una struttura concettuale, in un’unico sguardo, vuol dire sottrarla al cambiamento, all’irruzione del “devouring time”.

“Prova” in inglese si dice “evidence” (presso gli italiani poveri di lessico “evidenza”). La connessione tra il vedere e il pensare è il filo che tiene insieme la  disperata esigenza di stabilità della filosofia occidentale. Il visivo è il gemello del concetto. In più la vista è disponibile alla volontà umana. Si possono chiudere gli occhi, si può girare la testa dall’altra parte. 

E nella vastissima produzione di Nancy c’è un piccolo libro molto potente: All’ascolto (Raffaello Cortina) in cui si prova a dare la preminenza, piuttosto che al vedere, all’ascoltare. L’udito è un senso meno nobile della vista. Le orecchie sono più difficili da chiudere degli occhi.

L’udito ha a che fare non con l’immobilità dello spazio, ma con la mutevolezza del tempo. Si porta dietro un che di imprecisione, rumore (molesto), interferenze. Ascoltare vuol dire stare in una tensione, in un equilibrio instabile tra memoria e attesa, che dilata il presente e lo rende «come un’onda su un flutto, non come un punto su una linea».

La “messa in risonanza” non ha la luce clinica della “messa in evidenza”. Ascoltare implica un diverso rapporto con se stessi, con la rappresentazione e col tempo, che Nancy ci racconta con chiarezza esemplare. Pensiamo al concetto di “evento” (parola anche sputtanata da tutta una bassa mitologia da ufficio stampa: “l’evento dell’anno”, ecc.).

L’evento è un fatto non deducibile, non previsto dal pensiero Viene fuori dal nulla. Bene, il concetto di evento si capisce meglio a partire dall’esperienza dell’ascolto: «La presenza visiva è già lì prima che io la veda; la presenza sonora invece arriva, comporta un “attacco”, come dicono i musicisti». 

La vista (e il pensiero) sono equivoci, proprio perché si pongono come sicuri. E certi grandi inganni li capiscono solo i grandi musicisti (vedi Richards sopra), e i grandi filosofi. 

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