La ricerca di vita fuori dalla Terra ha motivato nei decenni scorsi l’esplorazione di corpi celesti nel sistema solare e la ricerca di pianeti attorno ad altre stelle. Nell’immaginario collettivo spesso gli alieni sono rappresentati simili a noi, magari di un altro colore e con le orecchie appuntite. Nella maggior parte dei casi non hanno intenzioni pacifiche e il loro unico scopo è colonizzare la Terra.

Non c’è molto di scientifico in tutto questo, e viene da chiedersi se queste rappresentazioni degli alieni non dicono in realtà più su di noi, del nostro pregiudizio atavico verso gli altri e di come, in realtà, quelli che vorremmo colonizzare altri pianeti siamo noi umani.

Ma come si sono mossi in passato e come si muovono oggi gli scienziati per cercare la vita altrove?

Caccia al gemello

Quando parliamo di pianeti abitabili, la cosa più facile è pensare ad un gemello della Terra, perché visto che è l’unico esempio di pianeta abitabile che conosciamo, cercarne un’immagine speculare è forse il passo successivo più semplice.

In questa ricerca del gemello della Terra ci siamo però resi conto che ci sono molti pianeti che anche se non sono proprio l’immagine speculare della Terra sono magari dei cugini, quindi un pochino più grandi della Terra, oppure in orbita attorno a una stella un po’ più fredda o un po’ più piccola del sole, ma di per sé queste caratteristiche non ce li rendono non abitabili e quindi dovremmo tenere lo spirito aperto e cercare di capire un po’ meglio se questi mondi, questi cugini della terra, sono davvero abitabili o no.

Il primo pianeta extrasolare, o esopianeta, scoperto fu 51 Pegasi-b. È un pianeta simile al nostro Giove, che orbita molto vicino alla propria stella, con una temperatura di circa 1000 gradi. Ma i gioviani caldi non sono gli unici esopianeti che abbiamo trovato nella nostra galassia.

Le super-Terre

Dagli anni Novanta ad oggi sono stati scoperti migliaia di pianeti diversissimi tra loro, tra cui le super-Terre. Come suggerisce il nome, sono pianeti che hanno dimensioni tra quelle della Terra e quelle di Nettuno e dalla composizione chimica variabile. Alcune di queste sono probabilmente rocciose, come la Terra, altre hanno ghiacci o oceani all’interno o in superficie. Altre ancora sono simili a piccoli Nettuni.

Per valutare l’abitabilità di alcune di queste super-Terre bisogna innanzitutto determinare quale sia la temperatura in superficie, ma soprattutto bisogna studiarne la chimica atmosferica: Venere, senza la sua atmosfera densissima composta quasi esclusivamente da anidride carbonica, avrebbe una temperatura superficiale molto diversa.

È difficile osservare le specie chimiche nelle atmosfere delle super-Terre, soprattutto se sono temperate o fredde. Ci siamo riusciti in parte con la super-Terra temperata K2-18 b grazie al telescopio Hubble, che ha rilevato idrogeno e vapore acqueo nell’atmosfera. Ora quello che dobbiamo fare è capire se K2-18 b sia un piccolo Nettuno (e quindi privo di superficie e inabitabile), o un pianeta oceano. In questo secondo caso potremmo speculare più facilmente sulla sua eventuale abitabilità. La natura di K2-18 b sarà svelata presto grazie al James Webb, il telescopio più grande mai lanciato nello spazio, attraverso cui potremo rilevare la firma della chimica atmosfera nella luce infrarossa.

La ricerca della vita

Spostiamoci ora dall’abitabilità alla vita tornando sulla Terra. La Terra è un pianeta roccioso, con una temperatura in superficie che permette il ciclo dell’acqua. La sua atmosfera è composta in gran parte da azoto molecolare e ossigeno molecolare.

È per questa ragione che in principio ci siamo chiesti se per cercare vita altrove dovremmo cercare ossigeno. Ma le cose non sono mai semplici.

Quando si tratta della ricerca di vita altrove, non si può non parlare dello scienziato James Lovelock, morto lo scorso luglio a 102 anni. Ne Le nuove età di Gaia, pubblicato in Italia negli anni Novanta, racconta di quando, giovanissimo, era stato invitato al Jet Propulsion Laboratory per fare da consulente alla missione marziana Viking della Nasa e suggerire quali tecniche utilizzare per capire se su Marte ci fosse vita o meno. Al tempo le idee dei suoi colleghi erano un po’ balzane e includevano anche delle trappole per catturare organismi marziani. Già allora lui aveva capito che la chimica di un pianeta e la vita presente sullo stesso sono profondamente legate e si evolvono interagendo l’una con l’altra. Quando la vita esiste su un pianeta crea naturalmente dei disequilibri chimici in atmosfera, che su Marte non c’erano.

Questi disequilibri sono dovuti alla presenza di vita che, quando presente, modifica profondamente sia lo stato dell’atmosfera che della superficie del pianeta. E questo è quello che è successo sulla Terra con l’ossigeno, che è in disequilibrio chimico: se la vita qui da noi sparisse dall’oggi al domani, sparirebbe anche l’ossigeno. Minerali antichissimi, ci rivelano che prima della comparsa della vita, sulla Terra c’era pochissimo ossigeno.

Cosa è successo poi? I primi organismi presenti sulla Terra sono stati i procarioti, che si sono sviluppati utilizzando come sorgenti di energia per vivere e riprodursi vari tipi di specie molecolari chimiche. Alcuni di loro, i metanogeni, producevano metano mangiando anidride carbonica e idrogeno molecolare, altri si nutrivano di ioni di ferro. E un certo punto alcune di queste specie cominciano a produrre come sostanza di rifiuto ossigeno molecolare in atmosfera. E come può avvenire in un’evoluzione darwiniana, alcune altre specie, con il passare dei milioni di anni, impararono ad utilizzare l’ossigeno molecolare come uno dei reagenti del loro metabolismo. La vita complessa, fatta da organismi pluricellulari, è energivora, e si è potuta sviluppare sulla terra grazie all’uso dell’ossigeno come sostanza metabolica e alla quantità di energia disponibile per unità di tempo.

Disequilibri non biologici

Questa definizione della ricerca di firma della vita di Lovelock non è geocentrica perché è indipendente dal contesto di un singolo pianeta: non si concentra sulla ricerca di una particolare specie chimica come segnale di vita, ma sul disequilibrio chimico. Se la vita è presente, la vita modifica l’atmosfera di un pianeta e crea dei disequilibri chimici.

Tuttavia c’è un problema con questa definizione: molte delle atmosfere di pianeti non abitabili studiate finora mostrano disequilibri chimici non di origine biologica. Saremo in grado di distinguere i disequilibri chimici generati dalla presenza di vita da quelli abiotici? Oggi non lo sappiamo, ma lo sapremo presto.  

Quello che faremo nei prossimi anni sarà di raccogliere dati sulle atmosfere di centinaia di esopianeti, per la maggior parte non abitabili, per avere una statistica quanto più ampia possibile di ciò che si trova là fuori. E questo avverrà grazie ad Ariel, una missione che verrà lanciata nel 2029 per esplorare mondi lontani e affascinanti, forse proprio perché così diversi dal nostro.


Il testo è la trascrizione del primo video pubblicato su Lucy, la nuova rivista multimediale dedicata a cultura, arti e attualità, diretta da Nicola Lagioia
 

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