Allevati insieme all’algoritmo. Essere madri nell’èra del web

Manca meno di un mese a Natale, meno di un mese alle compilation di Spotify Wrapped, che significa che è ufficialmente tempo di bilanci. Non sarà facile dimenticare il 2025. È l’anno in cui sono diventata madre e ho provato la gioia più forsennata che potessi immaginare. Purtroppo non mi ricorderò molto altro poiché, complice la frammentarietà del sonno degli ultimi tempi, la mia memoria a lungo termine sembra essere stata momentaneamente sospesa, permettendomi di trattenere solo informazioni a brevissimo termine, perlopiù legate al nuovo centro gravitazionale della mia vita. Mio figlio. Essere madri digitali Comunque nei bilanci che inevitabilmente mi ritrovo a fare in questo periodo, non ho molti dubbi sul fatto che Un’altra vita di Amanda Hess (pubblicato il mese scorso da Einaudi) sia il mio libro preferito dell’anno. Stiamo parlando di un anno in cui ho letto meno del solito, perlopiù ho consumato la bibliografia completa di Tracy Hogg con titoli come Il tuo bambino: tutte le risposte (utilissimo, ma non è certo Madame Bovary), e forse è il mio preferito solo perché l’ho letto di recente e ho già rimosso i mesi precedenti, ma nonostante le capacità ridotte del mio cervello ho percepito quel lieve brivido alla base del collo che sento sempre quando mi trovo davanti a un libro importante per le ragioni più disparate. Hess racconta una storia personale, quella di una donna che rimane incinta a trentacinque anni compiuti, classificandosi nel gergo medico come “primipara attempata”. Mai definizione fu più umiliante di questa, ma diventa l’ultimo dei suoi problemi quando Hess scopre che suo figlio è affetto da una rara malattia genetica e che nascerà con una disabilità. Diventando madre con le premesse più difficili che ci possa immaginare, Hess ripercorre la sua storia non tanto per raccontarla e farci soffrire con lei, quanto per mettere a fuoco il contesto in cui tutto questo avviene. Per la prima volta nella storia del mondo le madri e i loro figli sono mappati, spiati, quasi gamificati (bello anche il titolo originale del libro: Second Life), e la maternità è un’esperienza inevitabilmente permeata dalla nostra presenza online. Pensando alla prontezza con cui nell’ultimo anno l’algoritmo ha aggiornato i contenuti da propormi per vendermi sempre qualcosa di pertinente alla fase che stavo vivendo – vestiti premaman, culle, assorbenti refrigerati, tiralatte, giochi montessoriani, bavaglini – è in effetti incredibile che un libro come questo non esistesse già prima. La maternità occupa ormai una grossa fetta di internet, abbastanza da essere commercializzata, abbastanza da essere trivializzata, abbastanza da rendere notizia la gravidanza di Mamma Pig (la mamma di Peppa). Che una persona sia un genitore o no, e desideri o meno esserlo, credo che Un’altra vita dica molte cose utili alla comprensione dei nostri tempi, nessuna delle quali particolarmente rassicurante. Cronache d’una maternità felice (anche se non è affatto cool) Non fermarsi alle slide Sulla comprensione del testo invece ci dice sempre la stessa cosa, ovvero che è morta e sepolta sotto molti metri di terra. Ce lo dice suo malgrado, sotto un post che Einaudi ha pubblicato nei giorni in cui promuoveva il lancio del libro. Il post era composto da un carosello di slide con alcune citazioni da Un’altra vita, tratte da alcune pagine in cui Hess dice che un tempo non desiderava avere dei figli, ne era stata abbastanza convinta da scrivere un pezzo in cui sosteneva che non farli fosse una scelta rivoluzionaria. Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Giulio Einaudi editore (@einaudieditore) Aveva poi cambiato idea e nel libro ovviamente dedica all’argomento più parole di quelle che possiamo trovare in un carosello di Instagram. Che sembrerebbe ovvio a chiunque, ma non al nutrito gruppo di commentatori che passano le giornate a vagare nell’internet in cerca di un contenuto che li faccia indignare (sul tema ricordo vagamente di aver letto un altro libro che mi era piaciuto qualche mese fa, Merdoni di Chiara Galeazzi). Sulla maternità, ho scoperto anche a mie spese, è facilissimo far arrabbiare la gente. Esistono pochi argomenti più ampi e onnicomprensivi di questo (stiamo parlando letteralmente dell’origine del mondo), eppure è facilissimo che chi commenta si senta chiamato in causa, attaccato personalmente. In questo caso molte sono donne, certo – chi i figli li ha avuti e si offende per le affermazioni di Hess nel passato, chi non li ha avuti e si offende per le sue affermazioni del presente, chi ci tiene a segnalare a un branco di sconosciuti che lei comunque le foto dei figli online non le ha mai messe – ma anche uomini, che non possono proprio esimersi dall’esprimere i loro giudizi imprescindibili su qualsiasi cosa, anche se non hanno capito un cazzo, anche se a malapena sono arrivati alla fine del carosello. Si nota anche un fil rouge tra i commenti: una frittura di banalità, un’insalata di banalità, una valanga di banalità. È sintomo di grande originalità invece che ci sia lo stesso commento in varianti diverse ripetuto enne volte. Molto bella anche la corrente di chi critica le scelte dell’editore: molto male Einaudi, che delusione Einaudi, ormai Einaudi pubblica davvero qualunque cosa senza criterio. A scriverlo sono senz’altro appassionati lettori che rimpiangono i tempi di Pavese in casa editrice. Il mio consiglio invece è di leggere Un’altra vita senza fermarsi a quattro slide su Instagram, e nemmeno a queste poche righe che gli ho dedicato senza di fatto riuscire a trasmettere neanche da lontano quanto acuta sia l’analisi del presente di Hess, che partendo dalla più privata delle vicende riesce a raccontare qualcosa di enorme, la vita di tutte, altra da sé. [Missing Caption][Missing Credit] Un’altra vita (Einaudi 2025, pp. 280, euro 19,50) è un libro di Amanda Hess Grottesca, paradossale e imbarazzante: quando la maternità fa ridere