Capire meglio gli anni Novanta tra centri sociali e filosofia

E proprio quando con grande caparbietà ho girato la pagina 529 del robusto Novanta. Una storia controculturale di Valerio Mattioli, per scoprire con dispiacere che era la penultima di questo viaggio molto credibile su certi anni Novanta italiani, ecco che è arrivata in quel momento la notizia dolorosissima della morte del filosofo politico Paolo Virno, a 72 anni. Curiosamente proprio in Novanta Virno è ampiamente citato, e con evidente calore, fino a farne una delle anime di ferro – se non la principale – del saggio. Ma come, una figura notissima della sinistra extraparlamentare e indiziato del fantascientifico processo del 7 aprile – una figura dei tardi anni Settanta, in pieno – che c’entra con le cose di vent’anni dopo? Risposta ovvia: c’entra eccome, come è proprio Mattioli a premettere all’inizio di questa fiera cavalcata dentro (sostanzialmente) la centralità dei centri sociali occupati per la cultura italiana di questi 35 anni. È la doppia intuizione tutta nostrana (principalmente derivante dall’Autonomia e dal 1977) che il linguaggio – proprio negli anni di produzione a Seattle dei primi Apple, e similia – sia diventato il perno della macchina produttiva, che di conseguenza vede porre al suo centro le nostre relazioni, la nostra emotività e tutte le nostre capacità comunicative, inevitabilmente estese ad uno sfruttamento che assorbe l’intero tempo di vita. Un ponte esistenziale Fu già intuizione di Marx, pensate (nel famoso Frammento delle Macchine), ed è diventata realtà a partire diciamo da inizio anni Ottanta per esplodere fino ad essere sostanzialmente egemone, oggi e ben oltre. Virno è tra i primi a sottolineare in diretta questo enorme salto e a precisarlo in seguito e in ogni modo tra le pagine della rivista Luogo Comune e poi della successiva Derive e Approdi, dagli anni Novanta in poi, come ben sottolineato oggi dal quarantenne studioso romano nel volume sopra citato, appena pubblicato da Einaudi. L’apporto di Paolo Virno alla filosofia politica italiana non si limita a questo, ovviamente. Ma certo questa sua specificità contribuisce a costruire un ponte essenziale tra periodi storici. Specie se si considera come tutto il racconto di/dei Novanta possa essere tranquillamente letto come una precisissima e impeccabile (dal punto di vista strettamente logico) infilata di frammenti di una moltitudine di vite al lavoro, mentre mettono a punto strumenti comunicativi che sfuggono ogni logica produttiva – nel tentativo comunque riuscito di fondare reti di tuberi/rizomi a questa paralleli – per poi finire per sposare o respingere comunque in modo difficile la macchina dell’intrattenimento generale. Come sempre, biopolitica in azione. È impossibile riassumere il modo con cui Mattioli costruisce la cronologia e la geografia di queste “accensioni”, ben sapendo come la storia dei centri sociali italiani abbia rappresentato un fatto unico nel panorama mondiale per densità e qualità della proposta culturale, e oltretutto per posizione estranea al mercato. Stessa cosa vale per i rave, specie in ambito romano, free o illegali ecc. Non solo: questa “rete” ha pure dato vita ad una spettacolare psicogeografia di luoghi temporaneamente autonomi e liberati dalle nuove strategie speculative, allora agli albori (si pensi a Milano, e ovviamente al recente sgombero del Leoncavallo, dopo decenni). Nei superficiali anni Novanta si poteva ridere di tutto. Oggi no La matassa umana Mentre scrivo e mi viene in mente Virno, noto anche come queste stesse parole siano tutte raffazzonate imprecise o sbagliate, e come si sarebbe bonariamente incazzato per questo pressapochismo, per poi aprirsi subito dopo in un sorriso (Andrea Colombo ne ricordava l’altro giorno «la rocciosa presenza nei momenti di bisogno, l’ironia e l’allegria»). Con le dovute differenze, Valerio Mattioli stesso potrebbe obiettare che uno sforzo tale, il suo – frutto di una memorabile in/digestione di riviste, cd, sticker, manifestini, libri, archeologia digitale di ogni genere e molte parole con la kappa – non potrebbe essere certamente ridotto a questo riassuntino. Certo che no. Quel che conta però è che, sotto questo lavoro analitico importante e necessario, vi sia il cuore di chi quegli anni li ha vissuti e ora li racconta, delle amicizie, dei luoghi ricordati, dei dischi sentiti e risentiti, delle notti in macchina, e delle alterazioni, ecc. Il cuore di Valerio. È come se un’enorme libreria sconclusionata in una camera di una casa condivisa dell’epoca venisse magicamente messa a posto con grande cura da uno dei pochi sopravvissuti lucidi di questa matassa umana straordinariamente simpatica, prima di tutto. E straordinariamente intelligente, soprattutto, tanto da anticipare e vivere tutti i filoni culturali essenziali di tutti gli anni a venire. La nostalgia intrappola noi trentenni nell’infanzia Un’epoca unica L’eccezionalità di questo percorso è organica e nasce dall’evidente e commuovente convinzione dell’autore dell’imprescindibiltà di mettere le cose super-oggettive nero su bianco e e su carta, una volta per tutte. Novanta finisce male, nel 2001 – con il luglio a Genova e con l’11 settembre a New York. Così com’erano finiti male gli anni Settanta e pure gli Ottanta (tutto sommato). Rimaniamo noi, vivi o morti, fatti di “sostanza di cose sperate”, cosi come citava lo storico e filosofo Sandro Mezzadra nel prendere commiato dall’amico Virno. Siamo di fronte ad un episodio di lunga durata, come li chiamava certa scuola storia francese? Certo che sì. Dal 1977 a ora – ce l’hanno appunto insegnato allora i “cattivi maestri” – stiamo vivendo un’unica epoca, come non solo sappiamo ma sentiamo tutti addosso. Dividerla in decenni è ovvia convenzione. Ma proviamo a mantenerla. 50 diviso dieci fa cinque. Ne mancano quattro allora, uno per decennio, di macro-tomi da scrivere subito (ora che il cannocchiale di mezzo secolo consente una buona prospettiva). L’apocalisse onirica di chi ha cantato la fine della storia Maniche arrotolate allora, Mattioli – che ha capacità divulgative notevoli e scrittura ampia e insieme bella secca – in primis. Virno, che aveva anche una certa saggia pigrizia (dovendo pensare), lo guarderà e ci guarderà sgobbare, dall’aldiqua, tutto sornione. [Missing Caption][Missing Credit] Novanta. Una controstoria culturale (Einaudi 2025, pp. 552, euro 23) è un saggio di Valerio Mattioli