«Giuli s’è reso conto di essere un personaggio buffo preso in giro da tutti per quei discorsi inconcludenti pieni di parole difficili setacciate dal vocabolario, per il video nel quale suona il piffero. E allora si vendica. Può farlo perché ha trovato posto su una poltrona importante. Una poltrona dalla quale si decide chi prende i soldi e chi non li prende, chi trova uno spazio e chi viene messo alla porta».

Ascanio Celestini, in tour con il suo spettacolo Poveri cristi, la pensa così sulla polemica a distanza che ha visto il ministro della cultura attaccare direttamente Geppi Cucciari ed Elio Germano, rei di averlo criticato a margine e durante la cerimonia di premiazione dei David. E a cui sono seguiti anche una serie di post contro i due attori pubblicati sui profilo social ufficiali di Fratelli d’Italia. 

Un’aggressione a cui l’attore romano ha risposto durante l’evento di Domani al Teatro Parenti di Milano: «Temo che l’obiettivo della propaganda sia quello di alzare polveroni per nascondere le cose, uno dei metodi che hanno è fare personalismi». Poche ore dopo, un evento spiacevole ha colpito anche lo stesso Ascanio Celestini. 

Ha portato in scena a Ribolla il suo spettacolo Poveri cristi, ci racconta cosa è successo fuori dal teatro che lo ospitava?

Durante lo spettacolo sento qualcuno che colpisce la porta. Dopo un po’ si sente che viene colpita un’altra porta. Insieme ai colpi capisco che urlano qualcosa, ma sono concentrato per lo spettacolo e non capisco bene cose dice. Poi una frase si capisce bene: «Comunisti di merda».

Perché secondo lei nessuno è intervenuto?

Io penso che sia qualche ragazzino che ha voglia di disturbare. E poi sto facendo lo spettacolo e penso solo a quello. Dopo la fine, dopo lo smontaggio vado con la compagnia a mangiare in una trattoria e mi viene in mente che, se quelli che hanno disturbato, hanno avuto voglia anche di andare oltre stiamo in pericolo. Per fortuna non è successo niente.

Chi sono i “poveri cristi” di cui parla nel suo libro e nel suo spettacolo e perché la loro vita può essere considerata straordinaria?

Sono le persone che vivono nelle periferie. Quelle che finiscono sui giornali solo quando succede qualcosa di grave, scandalosa. Viene uccisa una prostituta, un centro per immigrati è assaltato dai fascisti. Cose del genere. Io cerco di parlarne fuori dallo scandalo. Il narratore del mio libro lo dice nelle ultime battute: «Vi hanno schifato, menato, carcerato, schiavizzato, torturato, stuprato, ammazzato e poi dimenticato. E voi non siete stati capaci nemmeno a diventare cattivi. Ecco il prodigio». Perché i cattivi sono altri. Sono quelli che se lo possono permettere. I veri cattivi hanno gli eserciti, controllano le banche.

Perché è importante che il cinema, il teatro, l’arte mantengano i fari accesi su storie come quelle che, fortunatamente, continua a raccontare lei?

Almeno per due motivi. Il primo è che conviene anche a noi che scriviamo. Tutti parlano e scrivono di presidenti e papi, ma chi si interessa dei poveri cristi? Noi che parliamo dei poveri cristi siamo pochi. Abbiamo tante cose da dire e da scrivere. E poi perché tra quelli che chiamiamo “ultimi” spesso non ci sono scrittori. Allora vale la pena andare tra loro e raccogliere le loro storie. La cosa importante è riconsegnargli una voce, una faccia, una nome. Altrimenti sono soltanto numeri. Bisogna cercare tra gli ultimi. Non bisogna accontentarci di raccontare i penultimi o i terzultimi. Io voglio raccontare gli ultimi per usare le parole che, da loro in poi, raccontino tutti.

Pensa che il tema trattato nello spettacolo possa aver in qualche modo attirato il gruppo di ragazzini?

Certe volte basta poco. Qualche anno fa a Viterbo i fascisti di Casapound imbrattano i muri con una serie di scritte contro il mio spettacolo. Mentre arrivo in teatro chiedo all’organizzatore: «Cos’hanno scritto?». E l’organizzatore fa: «Un po’ di tutto». La scritta più lapidaria è «Celestini boia». Credo che lo facciano per una specie di debolezza attiva. Per un complesso di inferiorità violento. Non hanno strumenti per confrontarsi e cercano la rissa.

Che clima si respira in questo momento in Italia? Si sta cercando di terrorizzare anche gli artisti per reprimere ogni forma di dissenso?

Ci sono teatri dai quali molti di noi vengono lasciati fuori. Te lo dicono chiaramente: «Sei un comunista» e quindi non puoi farci uno  spettacolo. Poi mi piacerebbe spiegare che io non sarei comunista. Da ragazzo, ma è successo nel secolo scorso, ho preso la tessera dei giovani comunisti. Un amico mi aveva convinto, ma io mi sentivo anarchico. Tutte categorie fragili che il Novecento ha sterilizzato.

Si definisce ancora antifascista?

Oggi posso dire ancora di essere antifascista, ma visto che il presidente del Senato non lo dice, anzi si dichiara “non antifascista” – e due negazioni affermano - capisco che il primo partito al governo ha l’allergia per gli antifascisti. Ma questo è il primo punto fermo sul quale non dobbiamo fare passi indietro. Nel marzo del 1947 Aldo Moro interviene in una seduta della Costituente e dice: «Vi è, da un altro punto di vista, una ideologia alla quale una Costituzione non può [non] fare richiamo» e risponde all’onorevole Lucifero che vorrebbe una costituzione “afascista”, parola senza significato se non di comodo. Moro risponde parlando di un: «Elementare substrato ideologico nel quale tutti quanti noi uomini della democrazia possiamo convenire». Dice che l’elemento ideologico della nostra Costituzione è l’antifascismo. Dice che la “Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”. Ecco. Oggi c’è un pezzo di governo che smonta l’unico dispositivo ideologico che tiene insieme il nostro paese: l’antifascismo. Lo fa con la voce della seconda carica dello stato in maniera goliardica mostrando il busto di Mussolini come un cimelio di famiglia. Lo fa dicendo che i partigiani erano gentaglia e uccidevano i musicisti di una banda in transito per via Rasella. E dunque tutto il resto rischia di schiantarsi.

A cosa si riferisce, in particolare?

Tutto quello che abbiamo smontato del fascismo per rimontarlo in un paese decente e democratico. Cioè la scuola pubblica, la solidarietà con gli ultimi, l’utopia per un mondo che possiamo ancora migliorare. Tanto che siamo sempre più indecisi davanti alle guerra, da quelle diffuse della terza guerra mondiale a pezzi al genocidio di Gaza. Per non parlare dello Statuto dei lavoratori, delle leggi su aborto e divorzio, sulla 180, ecc. Alla fine di questa intervista voglio dire che non c’è stata una riconciliazione. Noi siamo i nipoti di Marx e di Gramsci. Loro sono i nipoti di Hitler e Mussolini. Non c’è bisogno di spiegare la differenza.

Quella del governo “sull’egemonia culturale” della sinistra, sta diventando un’ossessione?

Questa è un’ossessione della destra. Alla fine del fascismo di stato è nato un cinema neorealista che ha cancellato le scemenze del cinema fascista. L’ha fatto con una forza straordinaria. E anche la letteratura del dopoguerra ha polverizzato le baracconate della letteratura fascista. Ai neofascisti è rimasto solo il potere della violenza. Quello delle stragi dal 12 dicembre del ’69 al 2 agosto del 1980. Della P2, di Gladio, dei colpi di stato. Insomma hanno scritto col sangue, ma si sono risvegliati analfabeti nella Repubblica.

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