«Un giorno come un altro di dieci anni fa mi trovavo in un bar e sono andata in bagno per cambiarmi l’assorbente. Mentre facevo quel gesto abitudinario mi sono chiesta: ma di cosa è fatto il dispositivo mestruale più utilizzato al mondo?», ha raccontato a Domani Marianthi-Anna Kioumourtzoglou, professoressa associata di Scienze della salute ambientale alla Columbia University di New York.

«Mi sono resa conto che non sapevo darmi una risposta a quella domanda che mi è sorta spontanea e improvvisa. Così sono andata dalla mia supervisor dell’università e le ho chiesto se ci fossero delle ricerche in merito. Mi sono resa conto che l’unica cosa certa che si sapeva era che gli assorbenti interni erano fatti di cotone, ma non c’era alcuna informazione sulle sostanze utilizzate durante la filiera produttiva di quel pezzo di cotone che finisce ogni giorno nel canale vaginale di milioni di donne», ha detto l’ingegnera ambientale Kioumourtzoglou.

Gli studi 

Da quel giorno di dieci anni fa, ci sono voluti sette anni per trovare dei finanziamenti per realizzare uno studio che analizzasse le sostanze contenute negli assorbenti interni. «È risaputo che nella filiera produttiva del cotone vengono utilizzati i pesticidi e che il cotone viene sottoposto allo sbiancamento, un processo che a sua volta usa diverse sostanze chimiche aggressive. Volevamo capire quali di queste sostanze utilizzate fossero presenti nei presidi mestruali che si trovano sugli scaffali dei supermercati», ha detto la professoressa della Columbia University di New York.

Una volta ottenuti i finanziamenti, il team di ricerca ha raccolto 60 campioni acquistati a New York, in Grecia e a Londra. I campioni differivano tra loro per marca, taglia e capacità di assorbenza. A giugno del 2024 sulla rivista scientifica Envirorment International è stato pubblicato lo studio con il titolo di “Gli assorbenti come fonte di esposizione ai metalli”, è la prima ricerca al mondo sull’argomento.

«Il laboratorio riusciva a rintracciare nei tamponi vaginali 16 metalli e abbiamo scoperto che tutti e 60 i tamponi analizzati dal laboratorio presentavano in percentuale variabile i 16 metalli. Ma non solo: il 100 per cento degli assorbenti interni contenevano almeno 12 di questi 16 metalli», ha detto la professoressa Marianthi-Anna Kioumourtzoglou. La ricerca ha scoperto che negli assorbenti interni esistono tracce di metalli tossici come l’arsenico, il cadmio, il piombo, il cromo e il vadanio.

«Quello che adesso ci serve capire è se questi metalli fuoriescano o meno dal tampone vaginale perché l’epitelio vaginale è molto permeabile ed è capace di assorbire le sostanze chimiche e portarle nella circolazione sanguigna», ha spiegato Kioumourtzoglou.

In questo momento non è però possibile fare delle ipotesi sui rischi potenziali per la salute delle donne perché servono nuovi studi capaci di dimostrare se la mucosa vaginale assorbe o meno i metalli pesanti presenti nei tamponi.

Il team di ricerca di cui ha fatto parte la professoressa Marianthi-Anna Kioumourtzoglou sta lavorando proprio a questo tipo di analisi. «Ci tengo a specificare anche un’altra cosa: abbiamo comparato le percentuali dei metalli tra tamponi biologici e non biologici. È venuto fuori che i tamponi biologici avevano una percentuale di piombo più bassa rispetto agli altri ma, al contempo, una percentuale di arsenico più alta rispetto a quelli normali», ha aggiunto la professoressa.

Il dibattito che manca

Mentre la Food and Drug Administration ha avviato delle proprie ricerche sui tamponi vaginali sotto la presidenza Biden, in Europa il dibattito è assente e la ricerca scientifica non si è mai interessata all’argomento. L’unico paese europeo in cui esiste una legge in materia è la Francia: dal 1° aprile 2024 è in vigore un provvedimento ribattezzato dal governo “decreto trasparenza” sui materiali contenuti nei presidi mestruali.

In realtà secondo l’associazione Regles Elementaires, da cui la campagna per una corretta informazione sugli assorbenti era partita, si tratta di un decreto che è stato svuotato del suo obiettivo originario perché la legge prevede l’obbligo per le aziende di indicare solo le sostanze aggiunte “intenzionalmente” come, ad esempio, i profumi.

Le aziende, quindi, non sono obbligate a condurre delle proprie analisi chimiche e delle indagini che permettano di capire le sostanze chimiche utilizzate durante la filiera produttiva degli assorbenti. Secondo le stime, negli Stati Uniti le donne che usano i tamponi sono tra il 52 per cento e l’86 per cento, mentre in Spagna la percentuale si attesta tra il 43 per cento e il 46 per cento. Facendo un calcolo che tenga in considerazione l’età riproduttiva, la durata del ciclo e quella del sanguinamento, una donna può arrivare a utilizzare più di 7.400 assorbenti interni.

Per questo in occasione del 28 maggio, giornata internazionale dell’Igiene mestruale, il coordinamento #MestrualMattersEu di cui fa parte anche l’associazione italiana Eva in Rosso ha promosso una campagna che mira a sviluppare una cultura europea della salute mestruale capace di tenere assieme politiche sanitarie pubbliche volte a combattere la povertà mestruale (sono quasi 50 milioni le donne europee costrette a utilizzare alternative inadeguate), finanziare progetti per la salute mestruale e ricerche che facciano luce sull’eventuale presenza di sostanze tossiche negli assorbenti.

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