Dpcm che vanno e Dpcm che vengono. Direttive che non dirigono, applicate in modo diverso in posti diversi in momenti diversi. Annunci che si scoprono pre-annunci, ma che annunciano più degli annunci ufficiali, ufficialità che non provengono dai preposti uffici. Commissari che dicono cose inverosimili, scompaiono, ne compaiono altri, scompaiono. Smaterializzati. Tra le nebbie di Catanzaro (dove non c’è la nebbia), risucchiati da ambiguità decisionali. In certi momenti si può dubitare dell’esistenza di un governo. Ma non si può dubitare dell’esistenza di Babbo Natale.

Babbo Natale ha un nome: Nicola. San Nicola di Bari, Nicola di Myra, Nicolò o Niccolò, Nikolaus, Sinterklaas, Santa Claus. Ha una data e un luogo di nascita e morte, Patara di Licia, 270 circa – Myra (entrambe nell’attuale Turchia) 6 dicembre 343. Ha una funzione istituzionale: vescovo di Myra. Ha un culto che dura da diciassette secoli e si sviluppa su tre continenti, dalla Puglia a Mosca a New York. Gli vengono attribuiti atti esemplari, detti miracoli.

La coerenza di questi atti, della funzione, dell’aspetto degli ornamenti, forma un “cluster”, prima iconico, poi narrativo, che è ancora vivo e attivo, che ne siamo consapevoli o meno. Se atei, agnostici, cattolici “adulti”, “latenti”, “oppositivi”, per Natale ordiniamo su un sito di e-commerce qualcosa di rosso (palline, nastrini, tovaglioli, pungitopo) stiamo evocando il colore della veste di un vescovo del IV secolo. Rosso sangue. Se compriamo carbone di zucchero stiamo evocando il lato buio che sta sempre a contatto con qualsivoglia santo tradizionale.

Un archetipo

San Nicola è un archetipo, un’idea sempre produttiva di nuovi significati: passa dall’oro come simbolo dell’irrappresentabile delle icone russe (dove è, spesso il terzo raffigurato, vicino a Gesù e Maria), alla criprovaluta Ethereum, perché no. Non è un personaggio a cui scegliamo di credere, è un modo di essere che ci trapassa, come tutti gli archetipi. Non c’è bisogno di citare Hillmann, Jung, o il Freud, in versione Netflix, che non per caso evoca il Krampus, il diavolo domato, aiutante di San Nicola.

La prima fonte scritta sul vescovo di Myra è la Praxis de Stratelatis (la vicenda dei militari), il cui nucleo originario risale al quarto secolo, circa un decennio dopo la morte di Nicola. Nell’VIII secolo Michele Archimandrita si reca a Myra, raccoglie le tradizioni, scrive una vita del santo in cui altri episodi vanno ad arricchire le notizie biografiche.

I miracoli attribuiti a Nicola. Aver ricomposto i corpi di tre bambini, tagliati a pezzi da un macellaio e messi in salamoia, con conversione dell’assassino. Da qui il legame coi bambini, che arriverà alla figura di Babbo Natale. Aver usato il proprio patrimonio per costituire la dote a tre fanciulle che altrimenti sarebbero state avviate alla prostituzione. Da qui l’essere considerato patrono di prostitute, e modello del portatore di regali. Dante, nel XX canto del Purgatorio, nei versi 31-33, scrive così di San Nicola: «Esso parlava ancor de la larghezza/ che fece Niccolò a le pulcelle/ per condurre ad onor lor giovinezza». A parlare è Ugo Capeto, fondatore dei Capetingi. Figlio di un macellaio.

Altri miracoli: aver fatto liberare, apparendo in sonno all’imperatore Costantino, Nepoziano e i suoi compagni dalla condanna a morte (Nicola è protettore dei carcerati); aver salvato naviganti durante una tempesta (Nicola è patrono dei naviganti); aver fatto crescere il grano ai miresi durante il tempo di carestia. Quest’ultimo è il miracolo tipico dei santi bizantini, e infatti viene attribuito anche a San Giovanni Therestis (“mietitore”). Nicola da Myra è anche noto per la sua partecipazione al Concilio di Nicea del 325, il primo concilio ecumenico, durante il quale, infuriato con il prete eretico Ario, gli avrebbe dato uno schiaffo.

Un culto secolare

Le notizie riportate fin qui sono in parte frutto di documenti, in parte vengono dall’agiografia. E bisogna precisare che qualsiasi tentativo di riportare l’esistenza di un santo ai dati storici, qualsiasi libro-verità su una figura “spirituale”, è un atto di ineffabile stupidità conoscitiva, anche in caso di straordinari scrittori come Christopher Hitchens, biografo negativo di Madre Teresa di Calcutta. È proprio l’aspetto non verosimile, non riproducibile, non verificabile/falsificabile che rende ragione di movimenti “sottili” e degli “hapax” in grado di attivare la connessione, pratica e rappresentativa, con una figura spirituale. I miracoli non si possono provare perché credervi è la condizione (ma soprattutto la protezione) della loro verità. Un libro-verità su un santo non ha niente di vero, se non il fatto che mostra un’altra ideologia, rassicurante in un contesto secolarizzato.

Il culto di San Nicola si espande nei secoli seguendo una traccia tipica della religione cristiana: il corpo. Le reliquie. Quelle di San Nicola sono particolari perché se bruciate emanano un profumo, caratteristica dei santi cosiddetti “mirobiti”.

Si parte dal meridione d’Italia, allora in mano ai bizantini. Infatti, dalla Calabria all’Abruzzo, non si contano le chiese e i toponimi ispirati a Nicola. Nel 1087 la Turchia è islamica; da Bari parte una spedizione di 62 marinai, tra i quali i sacerdoti Lupo e Grimoldo, che riesce a impossessarsi di una parte dello scheletro, ora custodito nella basilica di San Nicola di Bari. Un’altra spedizione parte da Venezia durante la prima Crociata (1099-1100) e recupera frammenti ossei ora custoditi nell’abbazia di San Nicolò al Lido. Una parte dei frammenti baresi viene presto traslata a Rimini. Studi antropometrici e ricognizioni anatomiche del 2003 provano che si tratta di ossa appartenenti alla stessa persona. 

Nel 1087 una reliquia del santo arriva in Lorena, si tratta di una falange della mano destra (se trovate macabra questa circolazione di pezzi di cadaveri umani siete in buona compagnia: la pensavano così anche gli antichi romani, scandalizzati, anche, della promiscuità sessuale dei cristiani durante i pellegrinaggi presso i santuari; i pellegrinaggi sono le prime testimonianze occidentali di accesso ai culti a uomini e donne insieme, inevitabile che ne nascessero intercorsi), da lì il culto francese di San Nicola, testimoniato anche dalla chiesa di San Nicola dei Lorenesi a Roma, piccola e preziosa, nascosta dietro piazza Navona, edificata nel 1662.

Dall’Italia all’Olanda

Il culto arriva anche in Olanda. La festa di “Sinteklaas”, nel dialetto frisone occidentale, non è solo l’occasione di mettere monete nelle scarpe dei poveri e di fare regali ai bambini, ma è anche una festa “liberatoria”, simile al Carnevale. Nelle prime tradizioni gli studenti eleggevano uno dei loro compagni di classe come “vescovo”. Avrebbe governato fino al 28 dicembre. La festa dell’“Episcopellus” viene raccontata da Alfredo Cattabiani nel suo Calendario: «L’episcopello imberbe indossava i paramenti e, salito in cattedra, reggeva il coro e impartiva la benedizione come un vescovo autentico. Chierici e preti si scatenavano in una giostra carnascialesca di lazzi e parodie durante il servizio divino cui assistevano in abiti da mascherata. Entravano nel coro danzando e cantando canzoni oscene, gettavano nel turibolo in luogo dell'incenso pezzetti di cuoio che ammorbavano l’aria».

E questo è il lato più selvaggio della festa di San Nicola. Represso durante la Riforma protestante, ammorbidito e levigato durante l’era pop novecentesca di Babbo Natale, ma sempre presente nelle varie tradizioni, per esempio con la figura orrorifica del Krampus, del Trentino-Alto Adige, nell’estremo nord est del Friuli-Venezia Giulia e in alcune località del Veneto, e in altre parti d’Europa, specialmente nelle zone di lingua tedesca. Niente di strano o di pagano: la presenza di figure ostili, negative, è una costante antropologica nell’agiografia dei santi cattolici.

E dall’Olanda si passa alla città olandese in terra d’America. New York. Santa Claus, privato degli attributi vescovili, laicizzato, ma con ancora il rosso del mantello, è invenzione ottocentesca. La slitta e le renne provengono dalla rilettura di Clement Clarke Moore che nel 1823 scrisse la poesia A Visit from Saint Nicholas. La figura moderna di Babbo Natale, a quanto pare, è stata utilizzata per la prima volta dalla White Rock Beverages, per la vendita di acqua minerale nel 1915 e per la vendita di ginger ale nel 1923. E poi dalla Coca Cola. Nella storia del giornalismo rimane la risposta sull’esistenza di Babbo Natale data da uno dei direttori del New York Sun, Francis Pharcellus Church, tradotta in venti lingue, musicata, e diventata un classico natalizio.

Intanto a Monasterace (Reggio Calabria) gli appartenenti alla confraternita dei nicolani si sono tolti da qualche ora i paramenti. Si sono alzati alle tre, stanotte, per cantare l’Ufficio di San Nicola, un testo in latino, antico, di origine incerta. Giusto qualche anno fa uno della confraternita aveva un’operazione complicata da fare. Il giorno dell’intervento febbricola e operazione rinviata. Il giorno dopo ancora febbricola. Operazione rinviata. La notte del terzo giorno sogna di salire per le vie del paese (Monasterace è su un cocuzzolo, andare su è come salire nel Purgatorio), e di trovare, in mezzo alla piazza, la statua del santo. Nicola da Myra, gli dà uno schiaffetto sulla fronte, «Ma dove vai? Tu sei sano. Tu sei sano» gli dice, in dialetto. Si trova guarito. Si può benissimo non credere a questa storia. Ma forse è giusto pensarsi come un fascio di miti che ci attraversano, ci possiedono per un tempo più o meno lungo, concorrono per un tempo più o meno lungo a fare di noi un carattere e un destino. E chi ha sognato ha cantato.

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