Il genio nato cent’anni fa sfuggiva, mentiva e si negava, anche a sé stesso. Aveva solo preso in parola una massima dei padri del deserto: «Bisogna fuggire sempre, tacere sempre, e in molti casi fare il matto»
- Il documentario La montagna di Ciro, di Andrea Andreotti, racconta la vita di Arturo Bendetti Michelangeli, pianista leggendario e indiscusso maestro di stranezze.
- La vita di Abm è stata un misto di silenzi e inseguimenti. Fuggiva dal pubblico, che pure amava, e coltivava una dimensione contemplativa che non gli impediva di adorare la guida a folle velocità.
- A cent’anni dalla nascita nessuno è ancora riuscita ad afferrare la personalità di un genio che raccontava un sacco di balle. Diceva di essere discendente di Jacopone da Todi e di aver corso più volte la Mille Miglia.
Siamo nel 1946, al concerto a palazzo Ducale che segna la ripresa della vita musicale a Bolzano dopo la fine della guerra. Star della serata: Arturo Benedetti Michelangeli, che a ventisei anni era la stella nascente, a livello mondiale, del pianoforte. Due cattedre di conservatorio, Bologna e Venezia, già conseguite «per chiara fama», e il titolo di «nuovo Liszt» elargito dal direttore del Concours International d’Exécution Musicale di Ginevra, Alfred Cortot. Luci accese, pubblico in sala che



