La sala di Cinemazero in silenzio al termine della proiezione di Arrivederci Berlinguer!, presentato in anteprima assoluta al festival Pordenone Docs Fest, produttore insieme all’AAMOD - Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico di questo film e cineconcerto. Il pubblico nell’impossibilità di alzarsi, con il pianto confessato da tanti spettatori. Questa immagine racconta più di tante parole ciò che ognuno ha sentito. Sullo schermo si era appena conclusa la prima di un lavoro che, come autori e come cittadini, ci ha fatto molto pensare.

Con il compito di tornare sulle immagini de L'addio a Enrico Berlinguer – film corale sui funerali di Berlinguer, realizzato da buona parte del meglio della cinematografia italiana, tra gli altri: Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Silvano Agosti, Roberto Benigni, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Giuliano Montaldo, Ettore Scola, Gillo Pontecorvo – abbiamo scelto di inserire il Berlinguer vivo, appassionato e impegnato già allora su temi che oggi dimostrano ancora tutta la loro urgenza. Un lavoro difficile e commovente. Non è stato semplice dosare la voce viva e pulsante di Berlinguer e la voce della folla sconcertata davanti alla sua morte prematura e inattesa. Non è stato semplice trovare ritmi e melodie adatte ad accompagnare queste voci.

Ma ci è stato chiaro sin dall’inizio, in perfetta sintonia con questi produttori “speciali” che hanno voluto sfidarci con una proposta così ambiziosa, che volevamo ridurre il senso celebrativo/liturgico del filmato originale legato a quei tempi e privilegiare invece il rapporto umano, caldo e vivo, che Berlinguer riuscì ad avere con le masse popolari. Non avrebbe avuto senso per nessuno fare oggi un omaggio che non provasse almeno a farsi presente, stimolo, ispirazione, provocazione.

Ci siamo dunque confrontati con immagini, girate soprattutto tra le fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni ottanta, perlopiù in pellicola, e realizzate soprattutto durante convegni e appuntamenti pubblici a cui prese parte Berlinguer.

Leader ufficiale

È spesso un archivio interno al Pci e, visto che la pellicola costava e che andava usata con parsimonia, i compagni filmarono soprattutto il Berlinguer ufficiale, istituzionale, concedendo poco o niente al Berlinguer privato. Il leader viene rappresentato sempre nei momenti ufficiali, nell’impeto oratorio di un comizio, nell’incontro di sezione con i militanti del partito. Il politico è solo immagine pubblica, rigore. A questi materiali che dominano gli archivi siamo riusciti ad affiancare alcuni momenti di vita privata, più caldi, che restituiscono, almeno in parte, l'umanità e le fragilità dell'uomo.

Il montaggio del film è stato pensato per toccare corde emozionali, in grado di coinvolgere il pubblico poggiandosi sulle composizioni musicali e la chitarra di Massimo Zamboni: la reiterazione del gesto, le folle, la commozione delle donne, dei politici, delle masse operaie, degli ultimi e dei capi di stato, i pugni alzati, tutto questo diventa sinfonia visiva e musicale allo stesso tempo.

Rispetto ai contenuti, la nostra scelta si è orientata su alcuni momenti in cui Berlinguer snocciola i temi fondanti della sua politica, e lo fa argomentando le sue tesi in modo diretto, con una chiarezza adamantina e una solidità d'intenti politici frutto di anni di studio, impegno, militanza, riflessione sui compiti e i doveri della politica. Abbiamo scelto gli interventi sui temi che ci sembravano vicini all'oggi (generazioni, donne, famiglia, questione morale, lavoro) e su cui Berlinguer ebbe parole che sono ancora di estrema attualità e che continuano a farci riflettere. Abbiamo lasciato voci, volti, testimonianze, dei militanti e dei simpatizzanti venuti da ogni luogo, togliendo di proposito gli anacronismi dei politici, le ipocrisie di convenienza.

L'umanità della figura di Berlinguer restituisce dignità, integrità e forza alla politica. Questa la sua forza, riconosciuta in modo trasversale anche dai suoi antagonisti politici.

Rispecchiarsi dopo questa prima esecuzione – che verrà replicata il 6 maggio a Roma all’UnArchive Found Footage Fest – in quella stessa commozione che il pubblico ha mostrato, ci ha portato a scoprirci, inaspettatamente, nuovamente, comunità. Ha dimostrato che quel comune e rinnovato stupore nello scoprirci ancora toccati dalla forza di quelle idee che ci avevano guidato – alcuni impegnati sulle immagini, altri nella musica – non parlava solo a noi.

Il comizio definitivo

Nell’abbandonarsi a questa sensazione nella sala di Cinemazero ancora buia si è come assaliti dalla percezione improvvisa di ciò che si è perduto, di ciò che si potrebbe essere. Quell’Italia rappresentata sullo schermo, i volti di quel popolo che piange, le lacrime su quelle guance di lavoratori si mescolano ai segni autentici di una vita di fatiche, alle ferite delle persecuzioni, a speranze che sembra impossibile aver dovuto abbandonare.

Quella folla incalcolabile, vertiginosa che aveva invaso Roma durante il funerale di Berlinguer chiama i presenti di oggi non soltanto a un esercizio di memoria ma quasi obbliga a pensare, a pensarsi, a considerare il valore delle nostre vite nel rapporto con le altre. Quel colore desueto, eccessivo, il rosso delle bandiere cui viene affidato il richiamo simbolico dell’emancipazione e del riscatto nel momento della desolazione e del dolore; quella selva di pugni chiusi, codificato segno di forza e di unità, che in quell’occasione sembrano voler alludere alla necessità di trattenere, al non lasciare andare via, ci colpiscono oggi per la loro antichità. Con stupore, più che con nostalgia.

La grande mutazione plastificata degli ultimi decenni ancora sembra non avere avuto luogo nelle immagini di allora, che portano in scena l’antropologia perduta dei padri e delle madri. La sensazione di un mondo migliore, più onesto e intelligente, non necessariamente comunista. Quanti segni della croce nella partecipazione alla sua scomparsa del segretario del più grande partito comunista d’occidente: la commozione di tutto un paese che si manifesta non con esequie composte, adeguate al ruolo dirigenziale, ma a un intenerimento collettivo, popolare, nazionale. Un uomo amatissimo è caduto, e sentire gli anziani chiamarlo “padre” mette un brivido. Quel leader è parso differente da tutti. La sua sobrietà e serietà oggi sono luoghi comuni per chi lo raffigura, ma allora non lo erano. La sua non appariscenza lo ha reso ineguagliabile in un mondo di figurine di cartone, al pari di pochi altri nella storia recente del nostro paese; forse al solo presidente Sandro Pertini.

Quello che ci è da subito stato chiaro è che la nostra ambizione era quella di far conoscere Enrico Berlinguer a chi non l’ha conosciuto. Questo progetto può farsi strumento per avvicinarsi a lui, renderglielo vivo: un uomo animato da forti passioni politiche, da un senso di equità incrollabile, antifascista, un uomo mai stanco di lottare contro le ingiustizie sociali e le prevaricazioni dei più forti e potenti. Può parlare a chi non c'era, a chi non sa, a chi si affanna a trovare risposte, a capire.

E se gli ultimi istanti della nostra vita raccontano ciò che siamo stati, non possiamo non ricordare le urla – quasi le implorazioni - al comizio definitivo di Padova da parte di quei militanti che stavano presagendo ciò che sarebbe avvenuto. “Basta, Enrico”. “Basta”. Le immagini di quegli attimi sono inaffrontabili nel loro carattere inarrestabile. Viene da urlare “Basta” a nostra volta, a quarant’anni da allora. Berlinguer cade sul lavoro, crollato per troppa generosità, in spregio all’idea di risparmiarsi. Questo tutti lo intendono, Berlinguer ha tenuto fede fino alla fine alla missione cui si era consegnato, senza infingimenti, senza calcolo, senza riserve. E le lacrime di allora a Roma, di oggi a Pordenone, forse restano l'unico appiglio emotivo cui aggrapparsi per attribuire un suono dignitoso alla parola Politica.

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