Tra gli interventi più interessanti tra quelli ospitati dall’evento "Sport for Change" quello della pugile Imane Khelif che ha posto l’accento sul legame tra patriarcato e distribuzione ambientale sostenuto dal movimento ecofemminista
Al Gran Palais di Parigi l’eco dei Giochi olimpici risuona ancora. Lo storico edifico dall’imponente tetto in vetro e ferro, un capolavoro di Art Nouveau e ingegneria, aveva incantato atleti e spettatori offrendo un’atmosfera unica di luce e fascino alle competizioni di scherma e taekwondo. E si era meritatamente guadagnato il primato di sede di gara più bella, una perfetta sintesi tra sport e cultura.
A pochi mesi dalle emozioni a cinque cerchi che hanno animato quegli ambienti, lo sport ha di nuovo varcato la sua soglia investito dell’altisonante ruolo di energia rigenerativa.
Dal 24 al 26 aprile, in quegli stessi spazi, si è tenuto ChangeNOW, forse l’evento globale, annuale più importante dedicato alla presentazione di soluzioni innovative per la transizione verso la sostenibilità e affrontare problemi gravi come il cambiamento climatico, l'inquinamento e la disuguaglianza sociale. Diecimila aziende presenti, milleduecento investitori da centoquaranta Paesi, quarantamila partecipanti coinvolti per dibattere oltre mille possibili progetti suddivisi in aree tematiche. "Sport for Change" è una sezione speciale del summit, dedicata a esplorare il potenziale dello sport (definito soft power) come strumento di cambiamento sociale e ambientale, «perché di fronte alle emergenze climatiche, alle disuguaglianze e al fallimento del sistema”, si legge sul sito, «non possiamo più permetterci il lusso di essere spettatori. È necessario agire. Impegnarsi è la chiave. E lo sport unisce. Accende la passione, suscita emozioni e mobilita le persone. È urgente sfruttare questo potere, non solo come intrattenimento o strumento commerciale ma come vera forza di influenza e trasformazione positiva».
Una sezione divenuta negli anni un contenitore di argomenti che non trovano facilmente spazio e voce altrove tra cui: l’organizzazione di eventi sportivi in coerenza con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (di cui l’edizione di quest’anno ha celebrato il decimo anniversario); il ripensamento dei modelli esistenti dei mega-eventi così come dell'intero quadro economico sportivo; la riflessione per uno sport in cui la presenza e la leadership delle donne ispirino e aprano la strada a una vera parità; l’analisi delle lobby di potere che gestiscono lo sport; la promozione di programmi educativi per i giovani e per uno sport capace di trovare il suo senso andando oltre i podi e le medaglie; la responsabilizzazione degli atleti nel loro ruolo di opinion leader; porre fine allo sportwashing. Che altro aggiungere…
Il messaggio di Imane Khelif
Al Gran Palais lo sport ha fatto riecheggiare le gesta olimpiche attraverso tantissime voci. Tra loro quella di una campionessa che se n’è andata da Parigi con un oro al collo ma con la vita devastata dalla più violenta e globale azione discriminatoria che un’atleta abbia mai subito, la pugile algerina Imane Khelif. Sport for Change ha voluto proprio lei come protagonista. Ha voluto farla tornare sul luogo del delitto contro la sua persona e contro il suo successo, per darle spazio e attenzione. E Imane non ha tradito le aspettative portando un messaggio potente sulla difesa dei diritti delle donne nello sport. Nel suo intervento ha condiviso le sfide che ha affrontato come atleta, tra cui discriminazioni e ostacoli culturali, sottolineando l'importanza di creare pari opportunità e di combattere per i propri sogni che poi, spesso, coincide con il lottare per i propri diritti.
Però la cosa più interessante e decisamente meno nota su cui l’intervento di Khelif ha fatto luce, è un filone di pensiero che aggancia per poi oltrepassare il tema specifico di cui è stata vittima (ovvero della femminilità del corpo delle atlete) che, da sempre, occupa uno spazio poco scientifico e troppo morbosamente estetico.
La sua presenza ha voluto porre l’accento su quel legame tra patriarcato e distruzione ambientale sostenuto dal movimento ecofemminista secondo cui la stessa forma di pensiero che permette l'oppressione delle donne attraverso pratiche di oggettivazione e deumanizzazione, porta anche allo sfruttamento della natura: il metodo del controllo e del possesso, che storicamente ha giustificato l'imposizione di ruoli e limiti alle donne, si riflette nel medesimo approccio utilitaristico verso l'ambiente, considerato un bene da manipolare e consumare piuttosto che da rispettare e preservare.
La connessione tra sistemi di dominio che unisce donne e natura, è stato richiamato anche dalla testimonianza portata dalla surfer ambassador Pauline Ado, testimonial della Surfrider Foundation, (protagonista della serata del 24 aprile, dedicata alla protezione degli oceani, la Ocean Night, insieme a Code Blue Foundation e ChangeNOW).
Surf e ambiente
La Surfrider Foundation è una splendida realtà nata per proteggere gli ecosistemi marini dalle pratiche distruttive dettate da una logica di sfruttamento quali la cementificazione delle spiagge, la trivellazione dei fondali, l’abbandono dei rifiuti, l’inquinamento delle acque.
Fondata a Malibù (California) nel 1984 da un gruppo di surfisti appassionati, nel corso degli anni l'organizzazione è cresciuta esponenzialmente, mobilitando decine di migliaia di volontari, ora circa 50 mila sparsi in tutto il mondo, e si avvale di una rete internazionale composta da oltre ottanta diramazioni locali, ciascuna impegnata in iniziative concrete come la pulizia delle spiagge, il monitoraggio scientifico dell'ambiente marino, azioni di contrasto ad ogni forma di sfruttamento dell’ecosistema.
Le attività della fondazione includono il coinvolgimento di comunità e cittadini attraverso campagne educative e eventi di raccolta rifiuti, che ogni anno vedono migliaia di persone contribuire alla riduzione dell'inquinamento da plastica e altri materiali.
Grazie a programmi basati su dati scientifici, come l’analisi dei rifiuti marini, la Surfrider Foundation riesce a influenzare le politiche pubbliche e a promuovere un cambiamento reale verso la sostenibilità, come avvenuto per la direttiva europea sulle plastiche monouso. Alcuni dati del 2024 che esprimono la portata del lavoro svolto dall’organizzazione: 57 campagne concluse con successo per la protezione delle coste e degli oceani; 51.700 chilogrammi di rifiuti rimossi da spiagge e corsi d'acqua; 11.730 km² di habitat oceanici salvaguardati grazie alla creazione di nuove aree marine protette; 47 eventi di ripristino per la rigenerazione degli ecosistemi costieri; 55.000 volontari coinvolti nelle diverse attività; 1.300.000 rifiuti identificati e classificati in oltre 1000 operazioni di raccolta su una distanza totale di 582 km seguendo il protocollo scientifico Ospar (protocollo che, attraverso raccolta dati e analisi scientifiche, consente di sviluppare strategie per proteggere la biodiversità e ridurre la presenza di sostanze nocive in mare).
Numeri eloquenti più delle parole! E la bellezza di poter dire, attraverso esempi concrete e testimonianze di vita vissuta che lo sport può essere forza rigeneratrice contro un sistema che consuma senza restituire, che aliena invece di connettere. Anche!
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