A palazzo Bonaparte a Roma la prima mostra antologica italiana dell’artista americana che con le sue opere ha indagato la natura umana. Dalla complessità del desiderio al tentativo di sovvertire le rappresentazioni tradizionali della donna.
La fine degli anni Settanta ha segnato un’epoca di trasformazione sia nella cultura sia nell’arte, caratterizzata da una crescente esplorazione della sessualità e del desiderio. È in questo contesto che ho realizzato le mie prime sculture con implicazioni sessuali, opere che catturavano la complessità del desiderio umano in modi intimi e provocatori.
Nel 1976 ho iniziato a fare calchi dei corpi delle persone. Erano sculture frammentate in resina, dipinte a olio in modo molto realistico. Le appendevo al muro come fossero quadri tridimensionali. Una di queste, Hand on Bra, è un frammento del torso di una donna che mostra una mano con unghie lunghe e laccate che preme sul reggiseno. Madam X è stata realizzata sul corpo della babysitter dei miei figli. Hand on Rear è stata fatta sul corpo della mia parrucchiera.
Ero molto soddisfatta di queste sculture audaci e pensavo che sarebbero piaciute a tutti, ma non è andata così. La galleria MJS, a Fort Worth, Texas, chiuse la mostra il giorno dopo l’inaugurazione. Nessuno partecipò al vernissage, tranne la mia famiglia, il custode e la proprietaria della galleria.
La gallerista mi disse che il lavoro non era accettabile, troppo provocatorio. Ricordo di aver provato disperazione e di aver pianto in privato. Non riuscivo a smettere di pensare al rifiuto che avevo subito. Queste sculture sono adesso esposte, insieme ad altre lavori, nella mostra La voce del corpo, dal 4 luglio al 21 settembre a palazzo Bonaparte, a Roma.
Le mie sculture erotiche degli anni Settanta sono diventate parte di quel dialogo controculturale che sfidava gli standard convenzionali di bellezza, desiderio ed erotismo. Quello che non mi aspettavo all’epoca era che l’arte delle donne non fosse ancora del tutto accettata. Mi dissero, sbagliando, che non ero seria. Ma io lo ero! Nonostante i cambiamenti progressivi nell’atteggiamento della società, le mie prime sculture incontrarono spesso resistenza e critiche. Questa tensione rifletteva la continua lotta tra i valori tradizionali e la crescente accettazione dell’espressione sessuale. Questo tipo di opere, a secondo dei momenti storici, si presta a letture controverse.
Negli anni Settanta la mia vita non era come la volevo. Avevo tre figli malati, nessun aiuto e un matrimonio fallito. Mio marito non voleva che io facessi arte e non supportava la mia carriera. Una notte mi disse: «Fai la tua arte nel tempo libero». Non capii cosa intendesse. Nonostante tutta questa negatività, ho continuato a lavorare e a provarci. Il rifiuto non mi ha mai fermata.
Il tema dei migranti
Tra le tante opere che presento a Roma, scelte insieme al curatore Demetrio Paparoni, ce ne sono due a cui abbiamo dato particolare importanza: IN-2-1278 e Innertube. Nonostante si riferiscano a eventi di parecchi decenni fa, il tema affrontato da questi lavori è ancora attuale.
Nel 1975 andai a Key West, in Florida, dove vidi immigrati provenienti da Cuba che, galleggiando su zattere e ciambelle, erano approdati sulle coste americane. Capii che dovevo raccontare la loro storia. Alcuni ce la facevano, altri no. Vidi una donna su una ciambella e le mani di un uomo che cercavano di trascinarla a riva. Non vidi mai il suo volto. Sapevo che dovevo scolpire quella scena. Da lì nacque la scultura IN-2-1278. Il titolo è un numero di telefono che suggerisce speranza e incertezza. Nella stessa sala di palazzo Bonaparte c’è anche una gigantografia della foto di una di quelle zattere, di cui comprai i diritti da un fotoreporter.
La mia scultura non ha volto né corpo, si vedevano solo le due braccia aggrappate alla ciambella e un braccio maschile che la tira, come se il resto del corpo fosse sott’acqua. Fu molto doloroso per me. Qualche tempo dopo realizzai un’altra scultura nella quale tolsi il braccio dell’uomo e alle braccia e mani della donna aggiunsi un volto esausto. Quella fu la mia seconda scultura sugli immigrati, che chiamai Innertube. Nel 2007 ne ho anche realizzato una versione di dimensioni monumentali che ho intitolato Survival of Serena.
Le nuotatrici
Nel 1980 è nata le mia prime scultura che raffigura una nuotatrice senza braccia e senza gambe. Ecco come andò: un giorno portai i miei figli in spiaggia, e mentre giocavano nella sabbia vidi una donna uscire dall’acqua.
Mi identificai con lei perché era coraggiosa, senza paura, e sembrava felice. In lei vidi il mio futuro. Il suo corpo era proteso in avanti e io con le dita formai un cerchio e la guardai attraverso quel cerchio. La frammentai come avevo fatto con le mie precedenti opere erotiche. Pensai che sarebbe stata una grande scultura.
Avrei scolpito una donna orgogliosa, che si protendeva mentre usciva dal mare, con l’acqua che le scorreva sul viso. Cercai una modella adatta, con un volto che rappresentasse tutte le donne, né troppo giovane né troppo anziana. Trovai una ragazza che posò per me e feci un calco del suo corpo. La posizionai esattamente come la donna che avevo visto in spiaggia. Non aveva braccia e gambe, lasciando allo spettatore la libertà di immaginare cosa le fosse successo.
Mi piaceva così perché poneva la domanda: se non hai le braccia, o se sei paralizzato, puoi comunque farcela? Puoi essere ancora felice? Quindi mi piaceva questo frammento che costringeva lo spettatore a completare la storia.
Intitolai la scultura Catalina, come la mia isola preferita al largo della California. Decisi di realizzare altre sculture legate al nuoto, alle isole e all’acqua. Non perché amassi nuotare, ma perché una nuotatrice con il costume non avrebbe distratto l’osservatore con i vestiti. Rappresentando la figura femminile in modi che enfatizzavano forza, bellezza e sensualità, il mio lavoro cercava di sovvertire le rappresentazioni tradizionali della donna nell’arte.
Arte sensoriale
Oltre a quella a palazzo Bonaparte, ho diverse mostre allestite e in programma in questo momento. Quando queste mostre sono state annunciate, Michael Tomor, direttore del Tampa Museum in Florida mi ha mandato un messaggio ricordando la prima volta che vide il mio lavoro. Nel Duemila.
Tomor mi diede la possibilità di tenere la mia prima mostra personale in un museo, il Southern Alleghenies Museum of Art. Nel suo messaggio mi ricordava seduta sulle casse delle mie sculture. Allora non potevo permettermi di pagare l’affitto e quindi lavoravo nel seminterrato dello Starrett-Lehigh Building. Fu così finché non trovai qualcuno che mi offrisse uno spazio gratuito dove lavorare
Dopo oltre 50 anni di carriera artistica, ho imparato che tutta la mia arte è sensoriale. Da giovani pensiamo di sapere tutto, ma in realtà non ci conosciamo affatto. Ora che ho raggiunto una certa età e guardo al lavoro che ho fatto negli anni Settanta ho una comprensione molto più profonda di me stessa.
A Roma presento per la prima volta una nuova serie di opere di realistici frammenti di corpo tatuati, appese al muro come fossero quadri. Queste nuove sculture raccontano una storia che va oltre quella dei frammenti.
Il modello che scolpisco sceglie il suo tatuaggio. Il tatuaggio diventa sia la sua storia che la mia. Non sono solo tatuaggi: racchiudono significati profondi, rappresentano passaggi di vita, credenze, celebrazioni e ricordi di persone care. Ogni scelta, dalla dimensione, al tema, alla posizione, fino ai minimi dettagli, riflette una decisione consapevole che si intreccia con la narrazione. È un modo per trasformare il corpo e prendersene possesso, utilizzandolo per esprimere me stessa. È un modo per rappresentare anche ciò che è bello, provocante e attraente.
Carole Feuerman è nata nel 1945 nel Connecticut, vive a New York. Quella di Roma è la sua prima mostra antologica in Italia
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