È fatale: per quanti libri si stampino in Italia (numeri debordanti, ora che il self publishing digitale selvaggio ha avallato la disintermediazione finale), sono molte più le case editrici chiuse di quelle aperte, nonché quelle che, se pure ancora esistenti come marchio, sono completamente trasgredite nella sostanza, come accade ai principali marchi della moda.

Non si contano i nomi che hanno ammainato bandiera, dagli anni Ottanta a oggi, talvolta anche legati a progetti editoriali validi, ma fuori tempo, perché troppo prima o troppo dopo, rispetto alla moda, al momento, all’uso e al costume.

I mercatini d’Italia, sempre più frequentati, in un’epoca impoverita in cui il mondo del seconda mano diventa sempre più rilevante, svelano intere collezioni che sembrano provenire da un’altra dimensione della galassia libraria, con numerose sorprese, scoperte, ritrovamenti.

La storia di Firenze

Firenze ha una storia peculiare in questa continua decostruzione di nomi e simboli. Durante le giornate di Testo ho presentato un racconto scenico intitolato Istantanee di un naufragio, che narra alcune di queste storie, escludendo la ricchissima e quasi debordante sezione delle opere per bambini.

Chi scrive è cresciuto con la grafica di Bob Noorda, assai innovativa, poi ritrovata nel lettering delle metropolitane, a Milano, a New York, a San Paolo del Brasile, per i libri Vallecchi, così caratterizzati dagli anni Sessanta, quando fu direttore editoriale Geno Pampaloni, nell’ultima stagione di grande vivacità al termine di una storia gloriosa, che sarebbe poi entrata drasticamente in crisi nel decennio seguente.

Quel nome ha fatto buona parte del Novecento editoriale in riva all’Arno, poi numerosi rovesci e ed effimeri ritorni ne hanno minato radicalmente il profilo, mentre nel frattempo i volumi originali diventavano sempre più rari sul mercato antiquario. La storia di Attilio Vallecchi è esemplare: uno stampatore curioso, brillante, si lega alla classe intellettuale più in vista in città sua coetanea e progetta case editrici e librerie che cambiano il destino della cultura italiana. Giovanni Papini, alias Gianfalco, e Giuseppe Prezzolini, ossia Giuliano il Sofista, si lanciano in una impresa che in breve catalizza l’attenzione in tutta Italia, anche se suscita, prevedibilmente, non poche controversie nella città d’origine. Il Leonardo, precede La Voce che determina una stagione letteraria e politica del paese. Nasce il desiderio immediato di una casa editrice e di una libreria, che si colloca per un certo tempo a palazzo Davanzati, che non ha ancora l’assetto del museo della Casa fiorentina, secondo la visione dell’antiquario Elia Volpi.

I nomi ospitati nei Quaderni della Voce sono notevolissimi: Alberto Savinio, Piero Jahier, Clemente Rebora, oltre ai due padroni di casa, che spesso firmano opuscoli e pamphlet taglienti in un momento in cui la polemica è all’ordine del giorno.

Viene poi la breve e fiammeggiante stagione futurista di Lacerba, in cui Papini pronuncia e pubblica il suo urticante Contro Firenze passatista, declamato con clamore al teatro Verdi. Nel frattempo l’autore di Un uomo finito aveva utilizzato un altro marchio, più personale, dal profetico nome di SELF per pubblicare testi più legati alla ricerca erudita: drammi sanscriti, trattati sulla Cina antica e moderna.

La passione degli scrittori

La passione degli scrittori per le case editrici personali è decisamente fiorentina: memorabile il caso della Cesare Blanc, sotto le cui insegne debuttò il magistero poetico di Aldo Palazzeschi, tra il crepuscolarismo de La fontana malata e la stagione crudele del grottesco de Le beghine.

Il signorino Aldo Giurlani, già ostacolato nella sua passione di attore dalla famiglia, aveva scelto il nome del suo gatto, che rimase il suo nume tutelare fino a quando Marinetti entrò nella sua vita, finanziando le sue pubblicazioni sotto il marchio delle Edizioni di Poesia. Il futurismo spopolò in riva all’Arno (tra gli strali di Papini che tuonava Contro Firenze passatista), in specie nella seconda stagione del movimento, che portò dopo i fuochi, brevi ma intensissimi di Lacerba, alle pubblicazioni de L’Italia futurista diretta da Bruno Corra e Emilio Settimelli.

Negli anni Trenta, in diverso clima espressivo, fu altrettanto importante il marchio editoriale di Solaria destinato a breve vita tra anni Venti e Trenta: sotto questa bandiera arrivano alla segnalazione autori centrali come Carlo Emilio Gadda (La madonna dei filosofi), Elio Vittorini (Piccola borghesia) e Cesare Pavese (Lavorare stanca). Peculiare è anche a fine anni Trenta il lavoro della casa editrice Monsalvato, che in omaggio al Parsifal di Wagner, pubblica libri assai importanti di cultura musicale, in un mondo vicino al direttore d’orchestra Vittorio Gui. Non meno importanti sono state alcune tipografie che in alcune occasioni diventavano case editrici come i Fratelli Stianti a San Casciano, che pubblicavano in proprio manuali pratici (come Il Chianti vinicolo di Tommaso Guarducci), ma anche opere di letteratura, come ha raccontato Marino Parenti nel volume retrospettivo Una stamperia in Toscana.

Fondamentale nel mondo della saggistica è stata anche l’attività de La nuova Italia (fondata a Venezia nel 1926 da Elda Bossi e Giuseppe Maranini, ma presto arrivata a Firenze dove fu centrale la direzione di Ernesto Codignola (e a questa lezione di rigore ha guardato senz’altro Roberto Calasso, di cui l’intraprendente editore era il nonno).

Una infinità di autori importanti hanno trovato udienza per questi tipi, che nelle biblioteche degli italiani sono stati specialmente importanti negli anni ’60-’70 per le due collane de Castoro, letteratura e cinema, che hanno fatto da guida alla scoperta di autori e forme per una generazione (e il nome Castoro echeggia oggi in una casa editrice che ha preso l’eredità cinematografica di questa esperienza). Insomma un pozzo senza fondo, in cui lanciare una sonda per ricostruire una ricchezza variopinta di nomi, titoli e proposte.

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