Eccezion fatta per lo scorso anno, in cui la presenza italiana alla Berlinale è stata consistente e diversificata nelle forme e i generi, nelle ultime edizioni è stata evidente la fatica per conquistare una posizione definita nel festival più attento all’importanza sociale dei film. Gli ultimi nostri titoli premiati sono stati infatti Cesare deve morire (2012) e Fuocoammare (2016). Il caso di Come la notte, il dilemma dell’identità e la questione multiculturale
Eccezion fatta per lo scorso anno, in cui la presenza italiana alla Berlinale è stata consistente e diversificata nelle forme e i generi, tra le due serie tv Supersex e Dostojevskij, l’esordio alla regia di Margherita Vicario, Gloria!, e la distopia di Piero Messina, Another End, ecco, negli ultimi anni, invece, il cinema italiano sta faticando a conquistarsi una posizione definita all’interno del festival.
Facendo una breve panoramica: ricordiamo, tra il 2022 e il 2023, la regia in solitaria di Paolo Taviani, Leonora Addio, dopo la morte del fratello Vittorio, lo sfortunato Occhiali Neri di Dario Argento e il folgorante Disco Boy di Giacomo Abbruzzese, un esordio e unico film italiano in concorso, vincitore dell’Orso d’argento per il miglior contributo artistico nel 2023; mentre Claudio Giovannesi e Roberto Saviano conquistavano il festival nel 2019 con La paranza dei bambini.
È come se il cinema italiano concedesse a sé stesso pochissime occasioni per distinguersi in quello che è il secondo festival di cinema più noto al mondo.
Secondo solo a Cannes per “tradizione”, ma primo in classifica, senz’altro, per l’importanza sociale della gran parte dei film selezionati. Non per caso a vincere l’Orso d’Oro nel 2024 è stato Dahomey, mirabile prova documentaria della cineasta franco-senegalese Mati Diop, che s’interrogava sul significato politico della restituzione dei tesori del Dahomey in Benin da parte della Francia, nel 2021, dopo essere stati trafugati nel periodo coloniale.
L'idea di un cinema che decolonizza la Storia e i linguaggi codificati per immaginare un punto di vista e una prospettiva inediti è presente in Come la Notte (Where The Night Stands Still) di Liryc Dela Cruz, che compete quest’anno nella sezione Perspectives.
Come la notte
Anche se all’uscita del programma della Berlinale non se n’è parlato, Come la notte è l’unico film di finzione prodotto esclusivamente in Italia e parte di una sezione competitiva del festival, realizzato da Studio Ozono e Il Mio Filippino Collective. Nella sezione Generation ci sono Paternal Leave, film di produzione italotedesca di Alissa Jung e in Forum il documentario Canone Effimero dei fratelli De Serio.
Il film di Liryc Dela Cruz, già collaboratore, in passato, di Lav Diaz e di Apichatpong Weerasethakul e originario di Mindanau, è un’esplorazione dell’eredità corrosiva che il colonialismo ha lasciato nella psiche filippina, frantumando non solo le nazioni, ma anche le famiglie e i singoli individui in maniera irreversibile.
Le verità sepolte dall’oppressione coloniale così come raccontate da Come la Notte si manifestano in maniera radicale ed estrema; il film di Dela Cruz è un monito, quasi impercettibile, non dichiarato e per questo ancora più potente: quando gli oppressi interiorizzano la violenza perpetrata dai loro oppressori, il risultato può essere ancora più devastante.
I traumi sia privati che pubblici e le ferite inferte dalla Storia non sono qualcosa che resta nell’immaginario di chi le ha subite. In questo, Come la Notte riflette proprio l’ambizione di Dahomey, nel momento in cui Mati Diop intende mettere in discussione la presunta presa di consapevolezza occidentale verso la tradizione di un popolo sottomesso per secoli.
I tre fratelli protagonisti di Come la Notte sono l’emblema di quanto anni di oppressione, migrazioni forzate e lotta per la sopravvivenza ne abbiano plasmato l’identità, non risolvendo, però, le contraddizioni del passato di ciascuno.
Per oppressione s’intende un tipo di violenza ancora oggi serpeggiante, più silente ma non per questo meno grave, quella che, in altre parole, spinge a non considerare al pari della nostra l’eredità culturale dell’altro. Dela Cruz non è nuovo a questo genere di elaborazione artistica, essendo riuscito, con il suo impegno pluriennale, a far collimare nitidamente istanza pubblica e privata a partire dalla tradizione filippina.
La re-immaginazione dello status quo
Nell'immaginario comune “filippino” è sinonimo di care worker, uomo o donna delle pulizie; già nella sua mostra Il mio filippino: for those who care to see, ospitata nel 2023 dal Mattatoio di Roma, Liryc Dela Cruz rifletteva su questo binomio e su possibili e auspicate prassi destrutturanti, o meglio, decolonizzanti, come dimostra il suo film.
È indubbio l’impegno della Berlinale nella tutela e difesa di narrazioni di questo tipo, che intendono, per l’appunto, sottoporre a uno sguardo plurale verità considerate astoriche e immodificabili. Ed è altrettanto indubbio che nel panorama cinematografico italiano, Come la Notte sia un unicum, qualcosa di irripetibile, una forma di re-immaginazione dello status quo in relazione ai concetti di identità, appartenenza e famiglia, così tanto mistificati dalle attuali istituzioni governative.
Scomodando Gayatri Spivak, la subalterna può parlare nella misura in cui le si concede lo spazio e il tempo giusti per farlo: non per caso la regia di Dela Cruz è attenta a salvaguardare ogni dettaglio, silenzio e angolo lasciato vuoto dall’inquadratura, un tentativo di riappropriarsi, con l’immagine, di quella porzione di storia personale.
Essere stato selezionato dalla Berlinale come unico film “italiano” è allora una decisione più che motivata, perché non solo rappresenta e documenta, ma immagina pure un altro, inedito, sguardo, mettendo sotto scacco la nostra sensibilità di spettatorə.
Il dilemma dell’identità
La presenza di Come la Notte alla Berlinale pone un ulteriore interrogativo, sollevato anche da Il Mio Filippino Collective sulle pagine digitali di Nero, che riguarda proprio il concetto di un “cinema nazionale”, italiano, quindi, oggi che il tema dell’identità sembra essere così urgente e compromesso.
L’identità e la necessità di preservarne i caratteri etnicamente riconoscibili sono il fulcro delle attuali politiche; di conseguenza, la difficoltà nel definire Come la Notte “italiano” – testimone è anche il fatto che la maggioranza della stampa italiana non lo iscrive come film italiano in Concorso alla Berlinale – nasce da una visione ristretta e monolitica della tradizione, che si lega a un'idea fissa dell'identità nazionale, senza tenere conto delle realtà molteplici e in co-evoluzione che la riguardano.
Forse, se non c’è quasi nessun film italiano in Concorso alla Berlinale è perché si è scelto di dare visibilità a opere che intendono dire qualcos’altro e farlo in maniera inedita. Non solo film, ma vere e proprie dichiarazioni d’intenti politici di cui il cinema dovrebbe farsi carico, tanto più oggi.
In che modo si può dire che il cinema italiano stia facendo i conti con la questione del multiculturalismo e con gli effetti dell’immigrazione? In nessun modo. Il rimosso è tuttora predominante: la tendenza va verso il silenziamento o l’archiviazione, oppure la macchietta. Le eccezioni sono pochissime, quasi inesistenti, riflesso di un paese che continua a non riconoscere, da un punto di vista sia giuridico che culturale, l’esistenza di quanti non ci sono nati o di quanti, con l’Italia, non hanno un legame di sangue.
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