L’overshoot non è una nuova disciplina olimpica del tiro a segno e neppure una variante dello skeet nel tiro al volo. Non è nemmeno un termine usato in metodologia dell’allenamento, sebbene si possa trovare una solida analogia con l’overtraining, poiché entrambi i concetti riguardano l’equilibrio tra sforzo e limiti, hanno a che fare con il bilanciamento tra risorse spese e la loro rigenerazione.

L’overtraining è una condizione che si verifica quando un atleta si allena eccessivamente, consuma troppo e non dà al corpo il tempo di recuperare: provoca stanchezza cronica, lesioni, riduzione della prestazione e, se trascurato, porta alla sindrome da burnout, ovvero al completo esaurimento fisico ed emotivo.

Ecco, l’overshoot è la sua declinazione in chiave ecologica, in cui il soggetto/oggetto non è l’atleta ma l’ambiente: sta a indicare un uso di risorse naturali eccessivo, consumate troppo in fretta e senza rispettare i tempi necessari al pianeta per rigenerarle.

L’overshoot day 

Ogni anno, ogni paese, ha un suo overshoot day ovvero una data precisa che segna il momento in cui inizieremmo a vivere a credito (impiegando in anticipo risorse destinate ad un uso futuro) se l’umanità intera adottasse lo stile di vita di quel Paese. L’analisi viene elaborata dal Global Footprint Network (Gfn, organismo indipendente) mettendo in relazione l’impronta ecologica con la biocapacità, quindi confrontando la domanda con l’offerta.

Praticamente vuol dire stilare un bilancio dell’anno precedente, in cui si mettono nella colonna delle uscite le voci relative a quanto si mangia e cosa, spazzatura generata, superficie del suolo occupato, beni acquistati, energia consumata, anidride carbonica emessa; nella colonna delle entrate vanno quantità e qualità della superficie terrestre e marina, biologicamente produttiva, di una nazione.

Questa lettura temporale dello spreco, scandita per nazioni, per quanto riguarda il 2024, inizia con la data dell’11 febbraio e termina con quella del 24 di novembre. La prima si riferisce al Qatar: se tutta la popolazione mondiale avesse i suoi standard nel consumo di risorse, ci vorrebbero più di sei pianeti per rigenerarle. L’ultima si riferisce invece all’Ecuador, il paese più morigerato e capace di distribuire il suo bonus fino all’undicesimo mese dell’anno.

Tendenzialmente gli stati europei terminano le loro riserve naturali annuali tra aprile e giugno: l’Italia ha svuotato il serbatoio lo scorso 19 maggio. Pur oscillando tra paesi virtuosi (quelli del sud del mondo) e spreconi, comunque, il bilancio globale della terra si chiude in deficit. L’overshoot day mondiale, calcolato sulla media di quello delle nazioni, di anno in anno, cade sempre più anticipatamente (nel 2023 era il 2 agosto). Il prossimo 5 giugno verrà ufficializzata la data dell’Earth overshoot day 2024.

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Responsabilità sportive

Lo sport non è esente da responsabilità. Gli eventi sportivi, specialmente quelli di grande portata come Olimpiadi o campionati mondiali, richiedono risorse significative: dai beni usati per la costruzione di infrastrutture, all’energia per l’illuminazione e funzionamento degli impianti, dal trasporto dei partecipanti e dei tifosi, all’alimentazione dei mezzi di comunicazione.

Tant’è che il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) già nel 2014 ha voluto la sostenibilità come pilastro dell’Agenda 2020, documento attraverso cui ha disegnato il futuro del movimento olimpico. Tuttavia, tra le linee guida, si nota una certa tendenza a sottovalutare proprio la causa principale di devastazione della biocapacita terrestre ossia, il consumo irresponsabile di cibo.

I dati diffusi dal Gfn (e non solo) dimostrano che il peso principale tra le cause del deficit ecologico, è del settore allevamento: si deforesta per creare pascoli e per coltivare cereali e legumi usati per nutrire gli animali che poi diventano prodotti alimentari per gli umani.

In questi passaggi il rapporto tra risorse naturali impiegate e quantità di calorie prodotte, è terribilmente sconveniente, oltreché orribilmente crudele: ormai sono 18 miliardi gli animali macellati ogni anno per diventare cibo! Perciò una dieta a base vegetale è la migliore scelta che si possa fare per l’ambiente e… per la salute.

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I testimonial

Ma le proteine? E come si fa con il ferro, il calcio e B12? Sono le classiche domande che animano la curiosità degli scettici e a cui, però, la scienza ha risposto da molto tempo dimostrando che l’alimentazione vegetale non solo è adatta ma addirittura preferibile per ogni fase della vita.

Ovviamente deve essere soddisfatto l’apporto calorico quotidiano, la varietà e la qualità. E quale migliore dimostrazione concreta, quale più efficace prova da brandire nei confronti dei diffidenti, del fatto che ormai sono sempre più i campioni che dichiarano di seguire un’alimentazione a base vegetale?

Novak Djokovic, il più longevo numero uno della storia del tennis mondiale, che a 37 anni ancora resiste agli attacchi dei ragazzini, è vegano. Prima di lui, tra i più celebri, Carl Lewis, le sorelle Williams, il pilota Lewis Hamilton.

Ma oggi sono davvero molti gli atleti in discipline sia di resistenza che di potenza, pur se meno noti al grande pubblico, che allungano la lista dei testimonial: senza dubbio i migliori ambasciatori dell’evidenza che i prodotti di origine animale non sono indispensabili, nemmeno per un corpo che deve performare costantemente ai massimi livelli.

Che gli aminoacidi essenziali per la sintesi proteica si trovino anche nei vegetali e che non serva assumerli contemporaneamente nello stesso pasto, che il ferro non – eme (vegetale) sia meglio assimilabile, che i prodotti di origine animale tolgano calcio alle ossa piuttosto che aggiungerne, che la B12 vada monitorata perché è un problema per tutti, sono evidenze dimostrate da risultati di metanalisi e divulgate da più voci autorevoli tra cui, quella della Società di scienza vegetariana è la più instancabile.

La scelta del Cio 

Ma là dove la divulgazione scientifica ancora non trova le porte aperte, saranno gli eventi olimpici a fare breccia, perché quest’anno, il Cio, rimedierà a quella leggerezza con cui finora ha considerato l’impatto ambientale dell’aspetto nutrizionale. Così il villaggio olimpico di Parigi 2024, per la prima volta nella storia, nutrirà i suoi circa 15mila ospiti anche attraverso una particolare attenzione all’alimentazione vegetale, curata nella varietà e nella qualità di prodotti locali, stagionali, biologici.

Nella venue della Place de la Concorde dove si svolgeranno gli eventi più giovani e moderni quali basket 3x3, breaking, BMX e skateboard, la ristorazione sarà “esclusivamente” a base vegetale.

Perché ormai i ragazzi della generazione Z, quelli del Fridays for Future, sanno già tutto, non hanno bisogno di sgretolare i pregiudizi che l’alimentazione onnivora ha radicato profondamente nella cultura dei più vecchi: saranno ancora loro, questa volta con le medaglie nutrite in maniera eco friendly, a contribuire al cambiamento culturale.

Anni fa uscì un documentario dal titolo The game changers che, attraverso l’analisi scientifica dei risultati di grandi atleti, dimostra come dieta vegana e massima prestazione sportiva non solo siano compatibili ma addirittura positivamente correlate. Ora, avremo la possibilità di conoscerne molti altri e potremo chiamarli The Olympic and Paralympic game changers.

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