«Love Fiercely per me non è solo il motto del mio percorso di essere umano, ma un credo da condividere con tutti e un ideale per il quale battersi».

Con queste parole strappate da una Smemoranda del 2004 Chiara Ferragni annuncia via Instagram il suo nuovo progetto #LoveFiercely. La campagna che l’influencer ha postato congiuntamente il giorno di san Valentino sul suo profilo e, guarda caso, su quello del proprio brand, è in favore dell’amore senza barriere né distinzioni.

Look acqua e sapone, crop top stropicciato e una collanina con un cuore arcobaleno: nel video di lancio del progetto Chiara Ferragni si presenta con l’outfit di una quattordicenne scappata di casa per andare al suo primo Pride, raccontando a Paolo Armelli di Quid Media di aver trovato queste due parole su un bigliettino in un Airbnb di Los Angeles e di averle fatte sue, diventando un motto per l’influencer, che ha sempre amato liberamente, senza distinzioni, rimanendo al 100 per cento sé stessa.

Campagna pubblicitaria

Ora #LoveFiercely però è diventata una campagna pubblicitaria che non ha l’obiettivo di vendere un prodotto bensì di veicolare un messaggio in cui lei crede molto: amare con fierezza e in modo libero da convenzioni ed etichette.

Un ideale per il quale la nostra Regina della Mercificazione vuole battersi, lanciando un messaggio di sensibilizzazione verso le tematiche della comunità Lgbtq anche attraverso l’appoggio a Cig ArciGay Milano, che ha deciso di sostenere personalmente con una donazione per portare avanti le iniziative che l’associazione promuove nelle scuole di Milano e provincia.

Nel post poi incoraggia anche i suoi follower ad aderire: «Adesso è il tuo turno, raccontami la tua storia di amore fiero taggami e utilizza #LoveFiercely così che io possa vederla». Al momento, i contenuti creati spontaneamente dagli utenti sono tre.

Le coppie coinvolte

Nel video successivo, sempre pubblicato anche sul profilo del brand (proprio perché non vuole assolutamente vendere alcun prodotto), ci presenta «i protagonisti assoluti di questa iniziativa», cioè il bignami dell’inclusività da social network: la coppia lesbica interracial, la coppia formata da un uomo transgender e da una ragazza cisgender e la coppia di omosessuali padri di due figli grazie a una madre surrogata e che, sempre secondo Ferragni, «sono simbolo di un cambiamento radicale nella società dove voglio essere orgogliosa di vivere e crescere la mia famiglia».

Ma guardando il video ci si chiede esattamente queste persone chi dovrebbero rappresentare: tra content creator che collaborano con multinazionali, affermati stylist e fotografi che per hobby avevano «una linea di occhiali che ha indossato Lady Gaga», il dubbio è che la campagna sia un tentativo di estetizzare e de-politicizzare una battaglia sacrosanta, dato che le persone utilizzate per lanciare questo messaggio di inclusione sono dei privilegiati della Milano bene che sembrano usciti dalla Design Week.

“Fiercely” in inglese ha una connotazione particolare: non indica solo un sentimento di fierezza ma una intensità anche violenta, selvaggia.

In questa campagna, invece, non esiste una conflittualità, una pretesa, un riscatto. Le persone intervistate sembrano stare bene nella loro condizione, anzi, la loro presunta radicalità viene totalmente assopita, ad esempio, dal desiderio di avere una famiglia e potersi sposare, diventando quindi l’emblema dell’eteronormata noia borghese.

ArciGay, poi, è stata al centro di numerose polemiche degli ultimi anni da parte della comunità Lgbt, soprattutto per aver svenduto il Pride a brand che volevano utilizzare l’evento per tingersi di arcobaleno, come Coca-Cola, Amazon, TikTok, Nestlé e Just Eat, per dirne alcune.

Rebranding della lotta

Siamo decisamente lontani dalla rabbia dei movimenti di Stonewall. Ma, del resto, quanto può essere efficace un’azione di critica culturale e sociale se a condurla sono grandi brand impegnati a produrre utili?

In Ideologia dell’estetica Terry Eagleton sostiene che l’estetica gioca un ruolo ideologico nell’imposizione silenziosa degli interessi dei gruppi sociali dominanti. Il potere, sostiene, è diventato estetizzato, con l’estetica «che opera come una modalità estremamente efficace di egemonia politica».

Nel contesto imprenditoriale neoliberista, che Ferragni incarna perfettamente, il capitalismo ha fatto rebranding delle lotte antisistemiche, rendendole merci da vendere in cambio di capitale sociale.

È successo con le tematiche green, col femminismo, ormai cooptato nella sua forma liberale individualista di empowerment, e con le questioni di genere.

Lo scopo del marketing è sempre stato quello di creare una relazione di interdipendenza tra desiderio e prodotto, tra individui e brand o servizi.

La diffusione dei social media, però, ha messo i brand davanti alla necessità e alla possibilità di dialogare pressoché quotidianamente con nuovi target più consapevoli ed esigenti, cioè con Millennial e Gen Z, dei consumatori sempre più critici e attenti ai temi dell’impegno sociale e che partecipano attivamente ai grandi dibattiti online su diritti, oppressioni e rappresentazioni delle minoranze, di fatto regalando una mole quasi infinita di dati alle aziende.

Così, ogni rivendicazione che passa attraverso gli ingranaggi dei social media è risucchiata nella macchina del profitto dei brand. Come lo stalker che analizza i profili social della futura vittima, imparandone gusti, predisposizioni e aspirazioni, i marchi plasmano la propria comunicazione e i propri gesti per far innamorare i consumatori che non sono più influenzabili solo attraverso spot ispirazionali ma richiedono ai brand di esporsi eticamente.

Si è iniziato quindi a parlare di brand activism o di societing per identificare un marketing apparentemente più consapevole che comunica non solo al mercato ma alla società intera la propria visione del mondo.

Chiara Ferragni non è certo la prima a mettere in atto questi mezzi. Pensiamo ad esempio alla campagna per il trentesimo anniversario di Nike con protagonista Colin Kaepernick o al rebranding in chiave green di Eni.

La differenza, però, è che in questo caso c’è una totale identificazione tra la persona e il marchio a suo nome, la tecnica usata è quella della relazione parasociale ed empatica, che mira a presentare Ferragni come l’affermata imprenditrice digitale che però presta la sua voce per portare avanti delle rivendicazioni importanti per l’intera società, potendo contare sul livore scatenato anche dal mancato accordo in sede parlamentare sul Ddl Zan.

Dettagli che contano

Ma sono i dettagli che contano: basti notare che il post sull’account @chiaraferragnibrand del 28 gennaio 2022, che lancia la nuova collezione di occhiali da sole, si apre con lo stesso sfondo, lo stesso hashtag e ha lo stesso motivetto musicale del video della campagna appena lanciata mentre nella cartellonista della campagna le coppie che si amano fieramente indossano capi della collezione Chiara Ferragni, con il logo ben in evidenza.

Quindi, se potessi rispondere anche io alla domanda che Armelli ha posto nei video del progetto “Che cosa significa per te #LoveFiercely?”, direi che è una mera campagna di marketing.

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