Churchill è l’unica speranza: se solo Harris ne scrivesse

Domenica L’Inter ha perso ieri sera e stamane Domenico Calcagno scrive sul Corriere: «Per Chivu è già una piccola crisi ed essendo finita male, le sostituzioni di Lautaro e Barella potrebbero lasciare strascichi in uno spogliatoio che solo un mese e mezzo fa sembrava un saloon». Bella la frase di Franco Vanni (Repubblica) su Kelly, uno dei goleador juventini: «Il suo sinistro al volo è la forbice che taglia il nastro della partita». Lunedì Guardo molto calcio in tv, ma come se fossi davanti a una lampada abbronzante. Nel senso che penso a cose mie. Pensieri durante la visione del Napoli stasera: 1) devo procurarmi Greene a Capri: un ricordo della scrittrice australiana Shirley Hazzard, pubblicato anni fa da Rosellina Archinto (molto roselliniano come libro, infatti); 2) è meravigliosa la frase con cui Graham Greene definì il modo di scrivere del suo amico Evelyn Waugh: «Nel Mediterraneo si può vedere un ciottolo a cinque metri di profondità. Così era il suo stile»; 3) Fine di una storia, il romanzo di Greene pubblicato (Sellerio) è uno dei romanzi d’amore più belli da me letti (resta dentro come vita vissuta); 4) la definizione che Greene dà della speranza è semplice e perfetta: «qualcosa da aspettare»; 5) devo recuperare il vecchio film tratto da Fine di una storia con Deborah Kerr nella parte della protagonista. Ricordo che Kerr era bravissima nelle parti di suora accanto a tipi peccaminosi come Robert Mitchum. Lei vestitissima e lui seminudo su un’isola del Pacifico minacciati da soldati giapponesi. L’erotismo subliminale dei film americani anni Cinquanta resta impareggiabile. Mentre ero perso in questi pensieri, Nico Paz ha segnato un gol da far gridare «Eureka!» ad Archimede Pitagorico. Un’estate di viaggi a zig-zag: viva la prosa onesta di Greene Martedì Il mondo è meno bello. Robert Redford è morto nel sonno. Posta. Italo Beccaria: «Resto debitore di due foto (prima stampa) di Churchill… rimedierò al ns. prossimo incontro. Letto il necrologio di Guadagnino (il regista più sopravvalutato del pianeta) per Armani. Da sbellicarsi. Mi sembra pronto per pubblicare un romanzo. Segnalo che Luigi Manconi dorricheggia su Repubblica stilando la classifica dei cantautori italiani. Ti fosse sfuggita, eccola: 1) Fabrizio De André; 2) Francesco De Gregori; 3) Gino Paoli; 4) Ivano Fossati; 5) Sergio Endrigo; 6) Enzo Jannacci; 7) Paolo Conte; 8) Lucio Battisti; 9) Franco Battiato; 10) Francesco Guccini; 11) Luigi Tenco; 12) Pino Daniele; 13) Flavio Giurato; 14) Giovanni Lindo Ferretti; 15) Rino Gaetano». Continua Beccaria: «Qualche considerazione: a) plaudo all’esclusione di Lucio Dalla; b) mai sentito Flavio Giurato e il poco che ho ascoltato di Ferretti non me lo fa includere nei 15; c) che Fossati e Endrigo siano meglio classificati di Jannacci e del sommo Conte è cosa che grida vendetta al cospetto di Dio… A presto». Caro Italo, a questa altezza storica aspetto le foto di Churchill con ansia, trepidazione e pure superstizione. La speranza (alla Graham Greene) è in un ritorno messianico di sir Winston, l’uomo che le suonò a Hitler e lo farebbe anche con Putin (e Travaglio). Una volta ho chiesto a Robert Harris, il maestro inglese del romanzo storico, se intendeva scrivere un libro su Churchill. Avevo la sensazione che ci stesse girando intorno da un po’. Mi ha risposto che la mia sensazione era giusta. Allora gli ho chiesto se Churchill è un personaggio da Shakespeare o da George Bernard Shaw. Mi ha detto che se lo stava domandando anche lui. L’ho pregato di scriverlo presto il romanzo su Churchill. Aspetto il libro di Harris, caro Italo, come aspetto le foto che mi hai promesso. Le terrò sulla scrivania al posto d’onore accanto a quelle di García Márquez, Vargas Llosa, Céline e Greta Scacchi. Sulla classifica di Manconi non dico niente, lui è un discepolo di Goffredo Fofi. Ecco, ho detto tutto. P.S. Sui tentativi di imitazione delle mie rubriche negli anni (tipo La Settimana Enigmistica?), fammi elegantemente svicolare, Italo caro, parlando delle rubriche giornalistiche che prediligo. Sono le due sul Foglio di Andrea Marcenaro e di Adriano Sofri. Quest’ultimo comincia così quella di stamattina: «Per rientrare a Palermo dal bel viaggio Capaci – Castellammare del Golfo – Scopello, ieri ho preso una corriera degli autoservizi Russo. Prendere una corriera da un paese siciliano, sia pure costiero, e però col sole a picco, mi ha fatto sentire in un romanzo di Sciascia. Il giorno della civetta, Il contesto». Tra sogni, incubi e necrologi. Ma si legge anche l’Apocalisse Mercoledì Ho guardato le prime pagine dei giornali italiani e stranieri per vedere come ricordavano Redford. L’ho salutato così. Stefano Nazzi è il mio pusher di gialli (della realtà) preferiti. Con un colpo di genio, stasera prima dell’inizio della partita di Champions su Prime, ha narrato il cold case della squadra nerazzurra dicendo che la disfatta nella passata finale con il Psg (5-0) è un esempio di overkilling, uccisione eccessiva: «Termine criminologico, di origine nordamericana, che indica la sproporzionata e superflua violenza impiegata da un aggressore nel commettere un reato, eccedendo i mezzi necessari per raggiungere lo scopo dell’aggressione. In pratica, significa infliggere più colpi o lesioni del dovuto, anche dopo che la vittima è già stata neutralizzata o è già morta». È andata proprio così (io c’ero). Stasera grazie ai due bei gol di Thuram, il giocatore più simpatico che c’è, l’Inter ha vinto. Ma il capitano Lautaro, relegato in panchina, aveva una faccia truce da Robespierre che non promette niente di buono. Il cold case si riaprirà. «Nemmeno tutti i profumi d’Arabia laveranno mai questa piccola mano» Giovedì Ho fatto un’inchiesta su Fabrizio Sinisi, lo scrittore del momento con Il prodigio (Mondadori), romanzo apocalittico, grand guignol metafisico, ma anche storia d’amore, con protagonista don Luca, il prete smart innamorato di Marta («la sola pecorella smarrita di cui m’importi al mondo»). Sinisi nasce drammaturgo a scuola da Luca Ronconi. La cosa di per sé potrebbe anche essere preoccupante. È allievo di Ronconi, per dire, il famigerato e infestante Massini. Però Sinisi è un drammaturgo bravo davvero e lo dimostra nel romanzo. Per esempio, nel brano che segue e che sembra uno spettacolo di Tadeusz Kantor, forse l’ultimo grande autore di teatro esistito. «Quella che sembrava una tomba etrusca o paleoromana conteneva quindici scheletri che indossavano abiti della Seconda guerra mondiale – sette ufficiali con divise così sbiadite che a fatica si poterono leggere i distintivi della Decima MAS, e sette donne in abiti da ballo un tempo forse sgargiantissimi ma ora color cenere e paglia, più un prete con una mitra sfarinata e una lunga tonaca grigia». Gran teatro, avrebbe detto Shakespeare (ma anche Shaw). Habemus capolavoro? Sarebbe “un prodigio” Ieri Michele Messina scrive: «Trovo la storia di Ciccio Fred Scotti, l’uomo che custodiva i leoni, narrata in Cosenza nel ’900 di Paride Leporace, degna del miglior cinema. Ci sarà mai un regista così visionario da girarla? Anche da noi, a Castrovillari, è esistito un personaggio simile: Pietro Aversa in arte Blacaman, ventriloquo, fachiro, mago, ipnotizzatore, famoso in Sudamerica un secolo fa. Personaggio straordinario e ambiguo, agente dell’Ovra, ed eroe del racconto di García Màrquez Blacaman el bueno, vendedor de milagros. Nel mio libro Attenzione ai coccodrilli racconto in maniera surreale e fantastica la storia di Blacaman». Gentile Michele, grazie del libro che leggerò volentieri, tra una partita e l’altra. Ho, però, un dubbio: lei racconta in maniera surreale e fantastica la storia di Blacaman. Essendo già surreale e fantastica di suo, non conveniva forse narrarla in modi più realistici possibile? Ho il sospetto che Blacaman, venditore di miracoli, sia il modello di uno dei personaggi più affascinanti di García Márquez. Calabria Pride: vuoi vedere che lo zingaro Melquíades era di Castrovillari? P.S. Su Fred Scotti tornerò, ma il regista visionario giusto non può che essere lo stesso Leporace, cinefilo insigne. P.P.S. Chiedo all’intelligenza artificiale di dare un’occhiata alla rubrica. Risponde che ci sono due errori. Uno l’ho corretto (avevo scritto Shirley Wizzard invece che Hazzard). L’altro mi dispiace non poterlo correggere: l’intelligenza afferma che Robert Redford non è morto. Magari avesse ragione. Per scrivere ad Antonio D’Orrico: lettori@editorialedomani.it Fofi? Era più prete che critico. Quei tappi di champagne su Sinner