La regina arrivava all’ombrellone alle undici in punto. Compulsava con voluttà l’iPhone il tempo di una sigaretta, una sola. Poi, già nerissima, bruciava nel sole. Forse non era la più bella dello stabilimento ma si comportava come se lo fosse. E tutti i bagnanti le credevano, erano i sudditi ferventi dei suoi glutei sodi, della sua pelle salubre. Non salutava quando arrivava e neppure quando andava via.

Neanche il mare, tutto quanto il mare che sciabordava e si gonfiava e schiumava e smaniava per lei, pareva interessarle: talvolta gli concedeva i piedi fino alle caviglie, più raramente le cosce o i fianchi. Non si immergeva mai di più, come se volesse sminuirlo. La regina non cedeva pezzi di sovranità a favore di correnti e flutti che preferiva di gran lunga tenere sotto controllo. E trattava gli uomini come il mare.

I tentativi

Tutti, prima o poi, tentavano di abbordarla. Il primo incosciente fu Evaristo il bagnino, un latin lover incallito che vantava conquiste decennali su quel lido, un pezzo di folclore locale di cui si fantasticava che avesse figli sparsi ovunque.

«Bellezza ti va un giro in pattino?», le disse.

La regina lo squadrò dall’alto in basso. «Se tu vieni con me sul pattino chi controllerà che non anneghi nessuno?».

«Oggi il mare è una tavola».

«Col mare non si sa mai cosa può succedere, è come il cuore degli uomini».

Poi si fece avanti Giovanni, uno sborone del settentrione con la macchina sportiva e i mocassini sempre nuovi.

«Un giro in Maserati fino a Sabaudia?», le propose.

«Non mi piacciono i macchinoni».

«Solo per te potrei prendere a nolo una vettura proletaria. Un maggiolone?».

La regina gli rise in faccia. «Sabaudia è un po’ poco. Accetto solo un giro del mondo».

Anche Clemente, il guru dello stabilimento, non seppe resistere al richiamo dei sensi.

«Mi piace il profumo del mare, perché sa di fica sporca», esordì per impressionarla. «Meditiamo insieme?».

«E dove?».

«Dietro una duna».

La regina lo fulminò con gli occhi. «No, perché la meditazione dovrebbe sempre essere disinteressata».

Il castello in spiaggia

Andò avanti così per tutto agosto - se non il mese più lungo dell’anno, senz’altro il più lento - con la regina a scartare pretendenti di ogni tipo. Si intratteneva soltanto con Giacomo, un bambino che costruiva castelli di sabbia in riva al mare, accucciandosi accanto a lui in una posizione di finta sottomissione. Forse amava provocare, o forse era sinceramente incuriosita da quel maschietto che ancora non era diventato un uomo.

«Io sono il re di questo castello», diceva Giacomo. «Tu vuoi essere la mia regina?».

«Giacomino non è detto che in un castello ci siano per forza un re e una regina».

Giacomo faceva una faccia poco convinta. «E allora chi ci sarebbe?».

«Magari ci sono due re, oppure due regine, vai a saperlo».

Giacomo allora restava in silenzio, intuendo appena il significato di quelle parole, però non parendogli insensate.

«Giacomino fortifica le mura del castello ma lascia sempre aperto il varco principale», gli diceva la regina, carezzandolo sulla testa (e dalla spiaggia si alzavano dei fremiti di gelosia).

«Ma l’acqua può distruggere il castello», protestava Giacomo.

La regina lo guardava con indulgenza. «Corri il rischio, corrilo sempre, perché senza coraggio non c’è vita».

«Ma se tu non nuoti mai!».

La regina si voltava istintivamente verso il mare, d’improvviso immalinconita. «Proprio per questo ti do il suggerimento, so di quel che parlo».

L’arrivo dell’ubriaco

Si era quasi alla fine dell’estate. La luce cominciava a impigliarsi nei rami degli alberi, il vento faceva sbattere le barche sulle boe di protezione dei rimessaggi e i ghiaccioli ci mettevano un sacco di tempo a sciogliersi.

Allo stabilimento tutti cominciavano a fare i soliti bilanci di fine stagione, più o meno sapendo che l’estate è una stagione tra parentesi che serve soltanto a inanellare singoli momenti da ricordare, magari anche a distanza di anni, durante l’inverno.

E proprio in zona Cesarini arrivò sul bagnasciuga un uomo allampanato che nessuno aveva mai visto prima.

Sembrava ubriaco e declamava poesie d’amore con rabbia, come se fosse stato appena piantato in asso. Gridava spiritato alle onde: «Stabilimento balneare / Come un ospedale / Ma con il mare / E la rima ha rotto il cazzo / Mi manchi tu».

Appena vide la regina le si piazzò davanti: «Distrarsi è impossibile / E direi per fortuna / Se anche fosse fattibile / Io non chiedo la luna Ma solo un’ossessione».

La regina abbozzò un sorrisetto. «Sai tanto dell’amore».

L’uomo la guardò piangendo. «Se ne sapessi qualcosa non scriverei poesie».

«Dimmene un’altra», gli disse la regina.

L’uomo non fece una piega: «Il mio amore per te / Non è un abbaglio / Semmai uno scacco al re / L’incredibile sbaglio / Di un bigio calcolatore / O forse il travaglio / Di Dio».

La regina si alzò dalla sdraio e avanzò verso l’uomo. Tutta la spiaggia trattenne il fiato, mentre i vari Evaristo, Giovanni e Clemente schiattavano d’invidia. La regina stava vacillando? La regina stava per capitolare?

«Davvero cederà di fronte a un paio di poesiole sgrammaticate?», chiese Clemente. «Qui non stiamo parlando certo di Prévert!».

«Avrei potuto comprarle dei Meridiani Mondadori!», rilanciò Giovanni. «Lì, hai voglia di poesie!».

«Ai miei tempi al massimo mettevo una monetina dentro al jukebox», sospirò Evaristo. «Ci cascavano tutte!».

Quando la regina fu davanti all’uomo disse: «Sarei tua, te lo assicuro, se quest’anno non fossi già di un’altra persona».

L’uomo allungò il viso con gratitudine e la regina lo baciò in fronte, come per lenirgli un dolore profondo.

Settembre

Ma intanto la notizia correva di bocca in bocca, la regina non era sola come si pensava, la regina stava con qualcuno che ancora non si era mai fatto vedere, che non aveva mai messo piede in spiaggia! Ci fu chi pur di venire a capo di quell’enigma posticipò il rientro in città, allungò le ferie, chiese permessi, si mise in malattia. E alla fine – era ormai quasi settembre – quel mistero si risolse.

L’ultimo giorno di vacanza la regina si presentò in spiaggia alle undici in punto con una vecchia al suo fianco.

La vecchia era decrepita e a stento riusciva a camminare sulla rena che doveva sembrarle più insidiosa di una palude. La regina aiutava la vecchia, facendosi largo tra gli sguardi dei suoi sudditi che ora erano sorpresi, quasi increduli.

«Siamo arrivati, mamma», disse la regina alla vecchia, prima di farla sistemare su una sdraio, con una premura e anche una tenerezza che, in un istante, la fece tornare avvicinabile, la rese molle d’affetto.

La vecchia in un certo senso era l’opposto della regina, era stanca e probabilmente malata. Sopra la testa rugosa aveva una bandana come se si fosse salvata almeno temporaneamente da una terapia intensiva. La vecchia era il grumo di sangue raffermo, il punto debole della regina. Tutta la sua tonica sicumera, tutta la sua muscolosa altezzosità, dov’erano finite adesso? Le due donne restarono lì per parecchio tempo, meditabonde, una accanto all’altra, mentre i bagnanti sbaraccavano, già pensando famelici a una nuova regina per l’anno prossimo.

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