C’è un evento che rappresenta una crepa nella storia e una breccia nel tempo. Per la prima volta gli esclusi sono diventati i veri protagonisti
Col passare degli anni mi sento sempre più vicino al destino degli esclusi dai privilegi e dalla facilità di vivere. Non è solo una scelta di campo, interesse giornalistico o imperativo etico. È soprattutto una certezza, persino egoisticamente letteraria: l’unica avventura umana che oggi conserva il respiro epico e la necessità dell’utopia è quella degli ultimi del mondo.
Sono i miserabili di sempre, i vinti di ogni epoca, i “piccolini” della Ortese, ma anche la moltitudine dei disperati di oggi, senza giustizia e senza voce, gli invisibili del nuovo (antico) sfruttamento, gli scarti di una creazione imperfetta, di una natura matrigna. In Una notte, il mio ultimo romanzo, sono andato alla sorgente della narrazione degli ultimi: la notte del primo Natale. L’umanità reietta ancora senza cantori si muove nelle campagne di Betlemme.
Attende la nascita di un bambino chiamato a rendere giustizia. Quella stalla è una crepa nella storia, una breccia nel tempo: per la prima volta gli esclusi prendono la parola. Entrano nella letteratura che sino a quel momento ha raccontato soltanto eroi e dèi, sovrani e potenti. Un romanzo corale dove i protagonisti si sfiorano, s’incontrano, si amano e si odiano, dove ciascuno torna nella vicenda dell’altro, a tessere nuovi legami, ad alimentare nuove aspettative, a infliggere disperazione.
Come parabole
Non sono solo i deprivati di cose e privilegi. Con loro, lungo questo pellegrinaggio sospeso tra illusione e disillusione, tra magia e ferocia, si muovono anche i poveri di spirito, gli assetati di giustizia, i perseguitati dalla legge, gli afflitti, le anime sole per scelta e per destino, gli animali che mai hanno avuto un Dio a cui rivolgere le loro preghiere, i belati degli innocenti, i muggiti dei mattatoi, prostitute e sfruttatori, pescatori e pastori, dignitari e truffatori, lupi e agnelli, donne, uomini e bambini che il rifiuto sociale e lo stigma della povertà hanno reso invisibili. Oggi come ieri in cerca di giustizia e dignità, ancora in marcia in quel presepe.
Se c’è una novità nel mondo la troveremo lungo il loro cammino.
Il richiamo alla circolarità dei racconti orchestrati come parabole concluse vuole essere un omaggio alla tradizione italiana della “novella”, oggi sorella minore nelle scelte editoriali, ma che è stata capace di “fotografie” letterarie precise, liriche, di un’immediata profondità di analisi. Un romanzo che è anche ricerca di un’oralità antica, perché antica è l’ingiustizia e la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, antico e ancora necessario è ascoltarsi come si faceva un tempo, seduti in cerchio intorno a un narratore, le parole che si fanno meraviglia e reinventano il mondo. Sono convinto che due siano i miracoli in cui possiamo credere: il primo è la nascita, venire al mondo e partecipare insieme all’avventura umana. L’altro miracolo è la letteratura. Saperci raccontare. La nostra redenzione civile.
Giosuè Calaciura è autore di Una notte (Sellerio) con cui è stato finalista al Premio Lattes Grinzane. Nel libro racconta gli avvenimenti di una notte straordinaria, affidando a uomini e donne senza potere e ricchezza la visione di un mondo nuovo e rivoluzionario.
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