Tutta l’industria dell’intrattenimento a domicilio ha realizzato grazie al Covid affari d’oro. Ora resta da vedere chi, quanto e come di quell’ondata finirà con l’arretrare o col crescere anche più di prima.

Rispetto all’anno pre-Covid 2019, la tv tradizionale ha aumentato (+25 per cento) il tempo di visione medio dello spettatore, specie fra i giovani che da quel mezzo antico notoriamente si tengono alla larga. Ma s’è impennato (+50 per cento) anche il ricorso ai libri, in particolare da parte delle donne con scelte equamente suddivise fra i manuali (cucina e giardinaggio) e l’assortimento dei romanzi (genere che notoriamente non esisterebbe se Adamo fosse restato senza Eva).

Sono cresciuti a centinaia di miliardi i download di applicazioni per lo smartphone, l’ascolto di podcast, l’uso delle playlist musicali di Spotify e simili (più 30 per cento) il tempo dedicato ai videogame (più 30 per cento). Questi vaccini audiovisivi hanno temperato l’uggia del lockdown e offerto vie di fuga dalla stretta degli affetti familiari.

Crisi post-lockdown

Aperte le galere casalinghe, insieme con gli abboccamenti a mezzo Tinder, sono ripresi i contatti di persona tra lavoro, amore, calcetto e figli a scuola. Così già si parla di “recessione d’attenzione” nei riguardi delle offerte di intrattenimento fruibili da casa. Leggiamo in una ricerca, riportata dall’Economist, che i servizi in video streaming mediamente utilizzati sarebbero calati in aprile rispetto al novembre precedente dalla media di 7,23 a 7,06; Netflix che cresceva di 15milioni d’utenti al mese ora ha ridotto lo slancio a circa un terzo e per Disney la musica è la stessa (da notare, tuttavia, che, sia pure meno accelerata, la crescita continua).

Mentre per contro c’è chi la vede bigia, come le tv tradizionali che, anche in Italia, come ha misurato Studio Frasi, sono tornate ai livelli pre-Covid principalmente perché i giovani sono stati lesti a scappare dalla televisione-focolare e anche i genitori più coinvolti col lavoro hanno ridotto gli appuntamenti con l’usa e getta della tv da studio.

Sembra esposto a una crisi profonda il cinema proiettato in sala, con lo scrocchio dei popcorn e i bisbigli del vicino perché molti, anche tra gli spettatori che amavano organizzarci intorno una serata, nel corso della chiusura durata oltre un anno hanno preso gusto a guardare il cinema da casa, anche spendendo per l’acquisto di una sorta di biglietto per seguire le uscite più recenti. Un tempo vigeva un vincolo stringente di natura commerciale per cui prima d’andare su altre piattaforme il film godeva di alcuni mesi d’esclusiva – la cosiddetta finestra “theatrical” – a favore del circuito dei cinema.

Ora questa finestra pare destinata a chiudersi per sempre e serviranno molta fantasia e adeguati investimenti per rimotivare il pubblico in presenza, specie quello anziano che durante il Covid ha ormai imparato a cavarsela con account e piattaforme.

Smartphone e parola

Pare anche, a giudicare dai consumi che si contendono lo smartphone, che alcune gerarchie stiano cambiando fra la musica, che nel pre-Covid monopolizzava lo strumento e altri generi scoperti col lockdown. Nel post-Covid la quota della musica è arretrata rispetto alla crescita di podcast e audio-libri che hanno accelerato il passo scalando da un quinto a un quarto del totale.

La cosa un poco ci emoziona perché, a occhio e croce, potrebbe trattarsi di un’epocale rivalsa dell’intrattenimento di parola rispetto alla secolare abbuffata di video attraverso cinema e tv che ha schiacciato sullo sfondo la lingua della radio. Se la parola guadagna campo ne guadagnerà la qualità del discorso sia pubblico che privato. Le speranze, statistiche a parte, non paiono infondate perché come racconto-merce la parola ha il vantaggio di essere lineare, di arredare la scena nella mente, di scampare a dettagli distraenti. Offre, in breve, l’esperienza di comunicazione più immersiva. Le mancava solo un mezzo di contatto più adatto e personale della radio, ma questo Principe è arrivato con lo smartphone.

Insieme e ancor più che il video streaming e i prodotti di parola, sono i videogiochi che continuando a crescere (+100 per cento) anche dopo il balzo compiuto in pandemia. Li usano per lo più i giovani non oltre i 25 anni, ma non pare trattarsi di un rapporto destinato a impallidire con la crescita e si prevede che in capo a un decennio il corpo grosso del consumo degli adulti sarà meno propenso al film e derivati e praticherà in modo massiccio il racconto in forma videogioco. Forse l’unico tipo concepibile di racconto veramente interattivo. Gli autori di talk show e serie è bene che si rimbocchino le maniche se non vorranno trovarsi senza contratti e senza pubblico.

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