«Durante i primi anni del secolo, per motivi religiosi, scelsi di praticare l’astinenza sessuale. Tra me e me la consideravo una forma di body art – in linea d’altronde con l’immaginario cattolico. In quel periodo riuscivo ad ascoltare pochissima musica: il pop e il rock agitavano gli istinti come la Sonata a Kreutzer di Beethoven agitava Tolstoj, così li eliminai quasi in blocco. Tra le poche cose che riuscivo ad ascoltare insieme ai madrigali di Monteverdi c’erano Aphex Twin, Autechre e Boards of Canada, tre gruppi molto diversi tra loro, tutti britannici e pubblicati dalla più importante etichetta elettronica dell’epoca, Warp».

La musica a volte quasi ci implora di nutrire le nostre trasformazioni filosofiche ed esistenziali. Valerio Mattioli, uno dei migliori critici culturali italiani, ha preso questi tre grandi nomi dell’elettronica a cavallo tra i due secoli e li ha usati per un viaggio filosofico ed esistenziale nella rivoluzione digitale. Come scrive Simon Reynolds, il più importante critico musicale vivente, nella sua innamorata introduzione a Exmachina, «l’idea che certi tipi di musica abbiano un rapporto speciale con il futuro ha una lunga storia e continua a esercitare un grande fascino».

Come a suo tempo c’è stata la macchina intonarumori futurista a parlare di un futuro ammaliante e catastrofico, una certa musica elettronica battezzata Intelligent Dance Music, Idm, ha saputo raccontare un mondo che ogni mattina, dal 1995, si accendeva ascoltando Bliss, la mini composizione di Brian Eno per l’avvio del sistema operativo Windows.

Braindance

La Idm Aphex Twin l’aveva definita anche Braindance: «non tanto una musica da ballo per il cervello» scrive Mattioli, «quanto il cervello stesso che, contattato direttamente dalla macchina, va fuori controllo, comincia a ballare, diventa una forma di vita autonoma, estranea ai riflessi motòri» del corpo «fisso sul monitor».

Illuministi di default, oggi trattiamo il mondo contemporaneo come se non fosse magico, ma questa nostra consegna alla macchina, che si è mangiata anche la musica (vedi autotune, che si è mangiato le voci umane), diventa molto più comprensibile con un approccio, appunto, esoterico.

Dice Reynolds: «Quando, decenni prima del wi fi, Baudrillard immaginava il cittadino teleconnesso del futuro, sostanzialmente lo vedeva condurre la sua vita in un satellite, un modulo sigillato in orbita attorno al vuoto un tempo popolato dalla società», in una «estasi della comunicazione». Il cittadino diventava puro schermo, cioè black mirror, cioè noi adesso.

Mattioli si è seduto davanti alle casse durante la pandemia, ha rimesso quei dischi, ci ha fumato su, e ha cercato di capire la sua condizione, a partire dalla musica di Aphex Twin: «al trotto sui cento battiti per minuto mentre i sintetizzatori intelaiano arpeggi beatamente stonati». 

Willy Wonka

Per Aphex Twin si può cominciare da come affrontò il successo planetario: Madonna gli chiese un remix e lui le disse sì a condizione che nel pezzo lei imitasse un cane che abbaia.

Richard D. James è in origine un ragazzo col broncospasmo che si chiude in casa in Cornovaglia a montare e smontare sintetizzatori, e si educa a comporre musica in sogno. Ne esce una fusione tra l’ambient di Brian Eno e l’hardcore techno.

Diventa fenomeno planetario, remixatore prezzolato, creatore di Zeitgeist (pubblicità per Pirelli, sigle di Mtv, alla Biennale con Chris Cunningham), ma per Mattioli non è un mero fenomeno commerciale: At è il trickster, un Willy Wonka che componendo una musica mostruosa e zuccherina svela la vera faccia del mondo nuovo. Nel suo capolavoro, Selected Ambient Works Volume II, si sente «il suono prodotto dalle centrali elettriche che, apparentemente senza intervento umano alcuno, producono quel misterioso ronzio, chiaro indizio di una non meglio precisata presenza».

Quelli di Mattioli sono solo apparentemente voli pindarici, e certo colpiscono rispetto al modo in cui normalmente si scrive di musica per invitare a consumarla. Per capire l’importanza del libro di Mattioli bisogna domandarsi seriamente come mai una leggenda come Simon Reynolds si sia speso per lui e abbia contribuito alla stesura in veste di interlocutore.

Figlio delle teorie e dei metodi della Cybernetic Culture Research Unit, il seminale collettivo para-accademico dei vari Mark Fisher e Kodwo Eshun, Mattioli scrive libri in uno stato di lucida follia. In una temperie pop-filosofica dove tutti amano scrivere, con Frederic Jameson, che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, Mattioli propone una via di fuga gnostica dalla matrice.

Intendo gnostica alla lettera: come uno gnostico, Mattioli va alla ricerca di quegli squarci nella tela filata dal demiurgo – ossia, per noi, il mondo della merce e della dialettica dell’Illuminismo dove tutto è logico e produttivo e artificiale – per scorgere sprazzi di luce, illuminazioni. Nell’analizzare la musica e la traiettoria pubblica del trickster Aphex Twin, che come Artaud o Kafka o Beckett svela lo scherzo atroce alla base della società, Mattioli propone una possibilità simbolica di aprire gli occhi.

Gli scienziati

Quando si passa dalla biografia affascinante e ancora canonicamente rock and roll di Aphex Twin a quella degli Autechre, il nome più astratto e post-umano della musica elettronica degli ultimi trent’anni, la scrittura di Mattioli mostra la sua capacità di aprire mondi, di farci intraprendere inquietanti viaggi lovecraftiani dentro dischi che senza una guida rischierebbero di rimanere impenetrabili: «Ascolto “spl9”, (…) un bombardamento di micro-esplosioni nucleari a briglia sciolta, la loro consistenza una speciale lega gommosa radioattiva al tatto. Soccombo a una tempesta di lapilli elettromagnetici che arrivano da tutte le parti, lo spazio viene solcato da traiettorie antieuclidee che si incrociano e si addensano (…) impulsi malvagi che mi accerchiano in una morsa, che mi trafiggono senza sosta da angolature inaspettate, impreviste, illogiche. Sono dentro l’esperimento, (…) vittima stretta nella tenaglia del mega-artropode in quarzo e titanio».

Gli Autechre programmano macchine e poi ne osservano l’intelligenza, che ci è estranea come quella delle blatte. Nuovi insetti, i computer dimostrano un’intelligenza aliena (avete mai chattato con un bot?), e gli Autechre mappano sonicamente questo incontro del terzo tipo.

Anacoreti alla fine del mondo

Chiudono il triangolo i Boards of Canada, duo scozzese, «anacoreti dai lineamenti (…) nebulosi». Il terzo vertice del triangolo arriva come, per chi se lo ricorda, il famoso episodio San Junipero di Black Mirror: la loro elettronica bucolica ricrea la visione nostalgica di un mondo perduto, in cui ci illudiamo di ricordare di aver vissuto: «Ma cosa succede quando questo riflesso rimanda a un altro riflesso? Cosa succede quando l’elettricità non porta testimonianza che di altra elettricità?». 

Avendo riempito la loro musica (e apparati) di riferimenti a comunità religiose o pagane, a fughe e rinascimenti bucolici, a partire dalla psichedelia pastorale ereditata dal rock inglese anni Settanta di Robert Wyatt e compagnia, i BoC ci offrono un simulacro di consolazione: la visione di una natura che a ben vedere è fatta di tanti 0 e tanti 1: «La memoria non ci appartiene. La memoria è la memoria della macchina».

Chiariamoci: la visione di Mattioli si può rifiutare in blocco. È audace, sprezzante, clamorosa. Ma è una scrittura capace di far sognare. I suoi libri diventano incubi ma questi incubi sono la promessa di una vibrazione di vita superiore. Siamo in un’epoca di content e di opere piacevoli che scendono giù senza fatica. La pillola della Idm invece non va giù, ed è un bene. Non ci seda, ci apre. Come questo libro.

© Riproduzione riservata