In clima di Dantedì, il 25 marzo, giornata che ora ha un posto d’onore nei nostri calendari e nel nostro desiderio di leggere e rileggere Dante a settecento anni dalla sua morte, quell’infermiera mi ha fatto venire in mente la parola infuturare.
Tra le parole di Dante, infuturarsi, cioè prolungarsi nel futuro, spicca per la sua capacità di catturare un sentimento altrimenti ineffabile, impossibile da raccontare con altrettanta pregnanza.
A noi cittadini che stiamo vivendo nella nostra selva oscura, la quota di pandemia che la storia ci ha riservato, occorre tenere saldi i segnali che ci infuturano e scommettere su di loro.
Due occhi verdi che brillano, per quanto stanchi, dietro la mascherina verde di una giovane infermiera, sono un lampo di futuro. Così intenso non lo vedevo da tempo. In compagnia di moltissimi colleghi insegnanti, i giorni scorsi ho sperimentato il girone AstraZeneca, il vaccino che, nell’arco di poche ore, ci ha fatto provare tutte le tonalità possibili dalla promessa alla paura. Eppure, dopo essere stata tra coloro che sono sospesi per alcuni giorni, venerdì scorso, non appena diffusa l



