- Ho disegnato le storielle di Remo Remotti e adesso sono diventate un libro. Lo volevo fare da tanti anni, da quando lo vidi presentare un suo libro nel 2005 a Pescara. Non era una semplice presentazione. La sua era una vera e propria performance.
- Trasudava passione per la vita, per il sesso, per l’arte del Novecento, con un piglio anarchico che ti lasciava una voglia di libertà addosso che ha tenuto sveglio il mio desiderio di diventare come lui.
- Quindi grazie a Remo, che per me è anche Sigmund Freud (quello di Sogni d’oro di Nanni Moretti per chi ha memoria) e alla sua voglia di capire cosa siamo e alla sua voglia di cercare con forza ciò che ci aiuta a essere vivi.
Ho disegnato le storielle di Remo Remotti e adesso sono diventate un libro. Lo volevo fare da tanti anni, da quando lo vidi presentare un suo libro nel 2005 a Pescara, al festival di letteratura dove eravamo stati invitati. Non era una semplice presentazione. La sua era una vera e propria performance.
Dopo pochi minuti era in canottiera e la gente in sala piegata dal ridere. Sì, era vecchio, oltre gli 80 ma forte e irriverente, divertente e acuto, capace di trasformare una pedana con una sedia in un vero palcoscenico. Trasudava passione per la vita, per il sesso, per l’arte del Novecento, con un piglio anarchico che ti lasciava una voglia di libertà addosso che ha tenuto sveglio il mio desiderio di diventare come lui.
L’ultimo vecchio sulla Terra. E con maestri come lui, puoi sperare di diventarlo. E proprio in quei giorni memorabili e stranianti del primo lockdown, nei mesi iniziali del 2020, dove il virus maledetto segnava un solco profondo fra le generazioni e mi costringeva a restare chiuso in casa, come tutti gli altri, che la lettura dei suoi testi e le poche vignette disegnate da lui come illustrazioni ai testi mi ha reso chiaro il lavoro che ora è in libreria.
Alle prossime generazioni
Ho scelto alcune sue filastrocche che riposizionano un artista poliedrico spesso relegato a cantore della romanità, come una voce più universale.
Matematicamente esilarante nel primo racconto. L’importanza del professionismo e non. Appassionato nei ritratti di donna che lo seguono. E non provino a offendersi alcuno/a che il sesso qui, e l’incontro con l’altro/a ha qualcosa di magico e liberatorio. E se succederà sarò pronto alla lotta pubblica del maschio contro la femmina o di qualsiasi altra forma sia. Come negli sketch di un altro grande comico che mette alla berlina i meccanismi del contemporaneo: Andy Kaufman. Perché per me Remotti assomiglia a lui e a Charles Bukowski, poeta senza confini.
E un poco vorrei peccare di presunzione dicendo che con questo mio piccolo lavoro, vorrei fare quello che lui, Bukowski, fece con John Fante. Portare un autore precedente alle generazioni prossime. Povero me.
Vecchi musicisti blues
Remotti è così pieno di immagini, credo proprio per la sua formazione da artista visivo, che non mi sono neanche permesso un segno a commento di quella più illuminante: Signori noi non sappiamo piu vedere. Illuminante sulla nostra comune dipendenza dalle visioni degli artisti. Segue il ritratto di una coppia. Forma comune delle possibilità di esistenza umana. Il brano si intitola Una coppia così. Mi ha riportato alla testa i ritratti meravigliosi di Steinberg, ma per illustrarli ho scelto un’altra via.
Spendo due righe per il racconto centrale intitolato L’ultima mossa. La vicenda di un medico berlinese innamorato della pittura del Novecento che, in una partita a scacchi all’ultima mossa fra il colore bianco e il colore nero, perde letteralmente la testa. Impazzisce. In una quarantina di pagine io e Remo ripercorriamo stili e movimenti del Novecento pittorico e mi permetto di disegnare al modo di Munch e Van Gogh, di Malevich e Burri in una storiella che è drammatica, comica e didattica allo stesso tempo.
Mi succede anche quando ascolto e vedo suonare i “vecchi” musicisti blues. Succede se frequenti i festival. Vecchi e fortissimi allo stesso tempo.
Liberi dalla contingenza della classifica, nuotatori esperti del fiume della musica popolare, quella che sta dentro la tradizione dell’essere umani.
Il valore dell’età, dell’esperienza. La fine della paura di sbagliare e anche di morire.
Nell’Italia del sud non si usa la parola violenta “vecchio”, per indicare un anziano. Per indicare quegli umani si usa la parola “grandi”. Quanto rispetto e quanta forza in questa parola.
Ma Remotti è irriverente e credo avrebbe apprezzato il titolo che ho scelto per il mio libro.
L’ultimo vecchio sulla Terra. Come il titolo di un film di fantascienza degli anni Cinquanta, che oggi sembra più vero del vero.
Non ho inserito nel libro la sua più famosa Me ne vado da Roma. Scritta negli anni Cinquanta e ancora ritratto riconoscibile della città eterna. Ma offro come spunto di scrittura l’uso della sua impalcatura narrativa per la descrizione della vostra città di provenienza. Io ho provato con la mia. Pordenone. Funziona. «Ridi e ricordi, sveli i lati più osceni e quelli comici. Racconti cose vere. Come un rapper, con le parole e il ritmo».
Quindi grazie a Remo, che per me è anche Sigmund Freud (quello di Sogni d’oro di Nanni Moretti per chi ha memoria) e alla sua voglia di capire cosa siamo e alla sua voglia di cercare con forza ciò che ci aiuta a essere vivi.
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