A Firenze c’è una stanza memore di antiche passioni, torbidi amori e spietate vendette. Ci si arriva da una scala stretta, attorcigliata attorno ad un cortile che sale vertiginosamente fino al tetto. Il parapetto è basso e invita al salto. Nel 1838, Carlo Davanzati proprietario di casa accettò l’invito e si uccise.

Ma la nostra storia comincia secoli prima, quando una giovane coppia di sposi prepara questa stanza per le proprie nozze. All’epoca, siamo nel Trecento, ci si intratteneva raccontandosi storie e spesso queste storie apparivano ovunque si mettessero gli occhi: sulle cassette d’avorio per conservare gioielli, sui pettini, sugli specchi, sui bauli per riporre i panni e pure sui muri di casa.

E così fu anche in questo palazzo, dove le pitture della camera da letto la trasformano in una loggia aperta su un rigoglioso giardino. I muri perimetrali sono alti e ricchi di marmo e di panneggi. Per vedere fuori si deve allungare un po’ il collo come si si stesse sbirciando. Spinti dalla curiosità guardiamo con attenzione per capire meglio le pitture. 

Il dramma

Oltre il muro si vede un tappeto fiorito di rose e alberi alti di ogni specie tra cui svolazzano garruli uccellini. Se chiudiamo gli occhi un momento possiamo quasi sentire l’odore delle rose e il chiacchiericcio dei passeri. Insomma, siamo entrati in un luogo dei sensi come ogni giardino medievale dev’essere. Sugli archi del loggiato una serie di stemmi invoca le famiglie degli sposi: Davizzi e Degli Alberti a cui appartenevano Paolo e Lisa che nel 1350 si sposarono e per cui questa stanza fu allestita. Nel giardino, inquadrate dalle colonne degli archi del loggiato si vedono figure gesticolanti sorprese in fitte conversazioni. E allora avviciniamoci per sentire cosa raccontano.

«C’è un tipo di persone che si piccano di essere così leali e di saper celare segreti così fieramente che ci convincono a fidarsi di loro». Così comincia la storia raffigurata su questi muri. In realtà non suona proprio così, perché la dobbiamo immaginare cantata in francese medievale e declamata in versi ottosillabi. Ma il tema della Castellana di Vergy, il dramma di cui siamo spettatori in questo luogo è proprio questo: l’onere della lealtà. Un tema incoraggiante per una coppia di giovani sposi, sebbene di incoraggiante questa storia abbia poco.

Un amore sincero

Cominciamo dall’inizio e passata la porta di ingresso, volgiamoci a destra: un giovane bel cavaliere, chiamato Guglielmo, fedele e amato vassallo del duca di Borgogna, ama profondamente la castellana di Vergy. La dama è sposata, ma l’amore del cavaliere è così forte che la castellana cede alle avances del cavalier ma a patto che il loro amore resti segreto e che mai il cavaliere possa farne parola con nessuno. Per celare i loro incontri, la dama fa ricorso al suo fedele cagnolino, che la sera di ogni incontro la donna invia in giardino per avvertire Guglielmo di salire nelle sue camere senza essere visto da nessuno. «Così fecero a lungo e i loro amori furono dolci e condotti con tanta saggezza che nessuno ne seppe niente al di fuori di loro due».

Ma il cavaliere era bello e cortese e attrae la bramosia della moglie del duca così che questa, un giorno che il marito era partito per la caccia, invita il cavaliere nelle sue stanze per offrirsi a lui. Negli affreschi si vede il cavaliere e la duchessa giocare a scacchi davanti ad una camera da letto. L’allusione è forte: gli scacchi, gioco di strategia e di conquista, erano, ai tempi di Paolo e Lisa, intesi come preludio all’amore. E infatti, finita la partita, la maliarda si getta sul giovane. Ma Guglielmo è fedele al suo signor duca e fedele alla castellana. Resiste dunque alle lusinghe e fugge, rincorso dalle male parole della duchessa che in cuor suo giura vendetta.

E così la duchessa convince il marito che il suo giovane protetto ha cercato di sedurla. Il duca è colpito dalle aspre parole della moglie. Convoca Guglielmo e gli ripete le accuse, intimandogli di spedirlo in esilio per sempre se non prova la sua innocenza. Il cavaliere non sa che partito prendere. Lo vediamo, la testa poggiata sulla mano destra, in preda all’incertezza: tradire il giuramento fatto all’amante o guastare irrimediabilmente il patto d’onore con il suo signore e allontanarsi per sempre? Decide di rivelare al duca la storia d’amore con la castellana ma chiedendogli in cambio di non farne parola con nessuno. Il duca accetta e per essere sicuro delle sue parole segue il cavaliere per verificare che la storia d’amore tra Guglielmo e la castellana sia profonda e sincera.

Il tradimento

La vita torna come prima: gli innamorati continuano ad amarsi in segreto e il cavaliere continua a servire il duca fedelmente. La duchessa, vedendo le attenzioni che il marito ha per il cavaliere ne chiede il motivo e il duca le confessa di avere la prova che il cavaliere è innocente perché innamorato di un’altra. E qui viene il bello. La duchessa non ci sta. Desiderosa di vendetta, riesce a farsi dire il nome dell’amante del giovane vassallo usando l’arma della seduzione, cioè negandosi fino a che il marito, sconfitto l’onore dai sensi, non confessa.

Nelle pitture si vede il marito a letto sotto le coperte che cerca di abbracciare la moglie che si gira dalla parte opposta. Il duca rinnega dunque il voto di lealtà fatto a Guglielmo e racconta tutto alla moglie. Adesso la vendetta può compiersi. La duchessa organizza una festa alla quale invita la castellana di Vergy. Appena può le si avvicina e la complimenta per il suo talento nell’addestrare i cani. Alla castellana si gela il sangue nelle vene. Capisce di esser stata tradita poiché nessuno poteva sapere il trucco del cane a meno che il cavaliere lo avesse rivelato. Negli affreschi la vediamo con il cagnolino e una lunghissima spada in mano. Il cagnolino, strumento dell’inganno ma anche simbolo di fedeltà, fa da contrappeso alla spada, amaro presagio della sua fine.

Infatti, lo choc della scoperta è così forte, la pena di essere stata tradita così acuta che un malore la coglie e muore. Il corpo esamine della castellana viene trovato da Guglielmo che preso da disperazione si uccide trafiggendosi con una spada. Il duca, sopraggiunto in quell’istante, vede lo scempio che le cattiverie della moglie hanno causato e estratta la spada dal petto insanguinato del giovane vassallo cerca la moglie e la uccide trafiggendola alla gola. Poi preso, da disperazione, parte per le crociate.

Showroom ante litteram

Questa storia di amori sfortunati con il suo susseguirsi di azioni drammatiche piacque molto al pubblico medievale decretando il successo del poemetto che per secoli fu una delle storie più conosciute e rappresentate delle corti europee. D’altronde aveva tutto per piacere: l’amore tra due bei giovani, lei sposata e lui pazzo di lei, l’antagonista cattiva, Il marito credulone che per passione rovina tutto. Anche oggi una storia così avrebbe successo su Netflix. Al tempo però non era solo una storia d’amore ma anche la rappresentazione di tutti gli ideali della vita cortese: la lealtà dei rapporti nella società feudale, la galanteria della vita cavalleresca e la dolcezza del fin’amor che, al di fuori dei rapporti matrimoniali (statuiti per doveri sociali), lasciava spazio ai sentimenti.

Tutte cose che quando il poema fu scritto stavano per tramontare di fronte all’avanzata delle classi mercantili urbane. I romanzi cavallereschi rappresentano un mondo aristocratico in via d’estinzione che ancora esercitava molto fascino sulle classi sociali inferiori come quella dei Davizzi che cercavano di imporsi nella nuova società urbana. La storia della Castellana di Vergy è dunque una parte importane per capire la società di Firenze al chiudersi dell’epoca medievale.

Passato il palazzo di mano in mano, la stanza della astellana di Vergy sarebbe rimasta per sempre sconosciuta se nel 1904 un antiquario intraprendente non lo avesse comprato per farne la sua galleria. Elia Volpi ebbe la geniale intuizione di trasformare un palazzo in rovina e pronto per la demolizione in una showroom ante litteram in cui la gente potesse ammirare lo stile di vita delle classi agiate fiorentine tra il finire del medioevo e l’inizio del rinascimento. Volpi ripristinò con cura il carattere originale della casa che nei secoli aveva subito molte variazioni. Recuperò per fino le cucine e lo straordinario pozzo che dal tetto scende per decine di metri fino al sottosuolo.

Durante i lavori di ristrutturazione emersero da sotto gli strati di calce, le pitture della stanza di Paolo e Lisa che furono restaurate con cura e senza troppi stravolgimenti dal pittore Silvio Zanchi. Anche per la bellezza delle stanze affrescate, la strategia di Volpi fu un successo e l’antiquario riuscì ad imporre il gusto per l’arte del primo rinascimento fiorentino al mercato antiquario, soprattutto quello americano, che per anni non solo comprò mobili, suppellettili e dipinti di questo periodo ma anche decorò case, uffici e musei con opere in stile che si rifacevano al gusto dell’epoca.

Palazzo Davanzati oggi è un museo nazionale e fa parte dei Musei del Bargello. Un nuovo mirabile allestimento diretto da Paola D’Agostino ne mette in luce tutti gli aspetti più interessanti della sua lunga storia ed è assolutamente da non perdere.   

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