Francesco ha aperto una crepa in un muro antico. Il suo papato però è stato un tempo di frustrazioni. Papa Prevost aveva espresso scetticismo sul diaconato femminile. Ma ci sono altri segnali di speranza
La tradizione cattolica ha dei tratti quasi spiazzanti: non si può piangere a lungo sul papa morto perché la storia chiama e un nuovo papa deve affacciarsi. E allora guardare al pontificato di Francesco diventa immediatamente un’operazione storiografica che ha senso nella misura in cui apre a un tempo nuovo, il tempo di Leone XIV.
Il papato di Bergoglio ha rappresentato, per molte donne cattoliche in tutto il mondo, l’apertura di una crepa in un muro antico che ha lasciato intravedere al di là, sollecitando speranze e possibilità. Ma quel muro è rimasto lì. Solido, intatto.
Attese e frustrazioni
È stato, quindi, un tempo di grandi attese e altrettanto grandi frustrazioni: Francesco ha creato le condizioni per parlare – apertamente – di diseguaglianze, di potere, di accesso, di rappresentanza, ma i cambiamenti prodotti sono stati pochi, lenti, ambigui
Nel 2016, su richiesta dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), l’organismo che rappresenta le superiore delle congregazioni femminili di tutto il mondo, papa Francesco ha istituito una commissione per studiare la presenza delle donne diacono nella chiesa antica. La notizia fu accolta con entusiasmo, rappresentava un possibile punto di svolta: il riconoscimento ufficiale di un ministero perduto, forse rimosso, che avrebbe potuto essere riattivato. Tuttavia, il percorso della commissione si rivelò tortuoso e inconcludente, dopo quattro anni di lavoro, il papa tornò ad incontrare le suore dichiarando che non si era raggiunta una posizione univoca. La commissione fu sciolta e ne venne istituita un’altra di cui però col tempo si sono perse le tracce.
Quel primo passo, pur nella sua evidente inefficacia, fu interpretato come un segnale di attenzione mentre andavano crescendo le voci femminili che chiedevano un posto nella chiesa, non come supplica o concessione, ma come rivendicazione di giustizia. Durante il pontificato di Francesco i movimenti femministi cattolici sono diventati più forti e visibili imponendo la questione del ruolo delle donne nella chiesa e Francesco ha compreso che si trattava un angolo cieco della chiesa – e forse anche suo personale – che andava illuminato, non bastavano più le parole dolci o le immagini poetiche, occorreva entrare nel merito e lui decise di farlo, a modo suo.
Azioni solo parziali
In questi anni le donne sono state al centro dell’attenzione ogni volta che si parlava di riforma della chiesa e Francesco ha compiuto alcuni gesti significativi, benché sempre in modo parziale, controllato, simbolico. Ha concesso alle donne di accedere ai ministeri del lettorato e dell’accolitato, che già molte di loro esercitavano di fatto nelle parrocchie di tutto il mondo. Nel sinodo sulla Sinodalità, le donne hanno finalmente ottenuto il diritto di voto, un passo storico, sì, ma anche qui una concessione tardiva e limitata dato che le donne rappresentavano una percentuale minima dei votanti.
Ha nominato alcune donne in ruoli importanti in Vaticano facendo notizia, ma senza modificare l’equilibrio complessivo del potere ecclesiale, anzi, le nomine femminili sono servite anche – e forse soprattutto – come pedine preziose nell’opera di riforma della curia romana del papa; la loro marginalità ha giocato a favore del cambiamento, ma a conferma di un potere che resta gestito altrove.
Il Sinodo da poco concluso è lo specchio perfetto della situazione: in tutte le sintesi nazionali e continentali, i cattolici hanno espresso – in modo vario ma convergente – il desiderio di una chiesa in cui le donne possano partecipare pienamente ai processi decisionali eppure il documento finale è stato prudente, eufemistico, senza impegni concreti.
Impossibile ancora toccare il nodo istituzionale dell’associazione tra potere e ordinazione e tra ordinazione e maschilità.
Nulla rappresenta questa esclusione meglio dell’immagine dei 133 cardinali elettori riuniti in conclave. Quando le porte della Cappella Sistina si sono chiuse e il maestro delle cerimonie ha pronunciato l’“extra omnes”, metà della popolazione umana è stata esclusa.
Cosa aspettarsi
Ora abbiamo negli occhi le immagini del volto commosso del nuovo papa, uno statunitense per la prima volta nella storia. Nell’epoca dei social è stato semplice e rapido andare a cercare le sue dichiarazioni passate, le sue prese di posizione e – per quanto riguarda le donne – sembra che la prospettiva non cambi rispetto alla linea di Francesco: alcune donne coinvolte in ruoli apicali sì, l’ordinazione (ovvero il riconoscimento della parità di uomini e donne) no.
Durante una delle sessioni del sinodo sulla Sinodalità, nell’ottobre 2023, diceva: «Una cosa che va detta è che ordinare le donne – e ci sono state alcune donne che lo hanno detto in modo interessante – “clericalizzare le donne” non risolve necessariamente un problema, ma potrebbe crearne uno nuovo». Niente di nuovo, ancora una volta un uomo ordinato dice alle donne che chiedono di accedere alla stessa ordinazione che questa, per loro, potrebbe essere foriera di problemi. Invece di eradicare il clericalismo maschile esistente, lo si rinforza continuando a trattare il ministero ordinato come un club riservato, mentre ci si preoccupa dell’eventuale clericalismo delle donne.
Certo, il nome che ha scelto non suona benissimo, dato che Leone XIII condannò l’emancipazione femminile e nella Rerum Novarum scrisse che «La donna (…) è destinata dalla natura alle opere domestiche; e a quelle, almeno ordinariamente, è più adatta» (Rerum Novarum, n. 42).
Però alcuni segnali di speranza ci sono e vengono dal fatto che questo papa è decisamente più giovane del suo predecessore e questo non è un particolare, soprattutto se pensiamo che ha vissuto la sua adolescenza e giovinezza della Chicago degli anni Settanta, quella della Chicago Women’s Liberation Union (Cwlu) una delle più influenti organizzazioni femministe radicali negli Stati Uniti, che già all’epoca univa lotte contro il sessismo, il razzismo e il capitalismo.
Si può sperare che qualche scintilla di consapevolezza lo abbia raggiunto e che – magari un poco alla volta – comprenda che tutto l’impegno per la pace, per i poveri, per i deboli perde di senso se a portarla avanti è un’istituzione segnata al suo interno dalla più profonda, radicale, ingiusta delle diseguaglianze sistemiche: quella patriarcale.
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