È lecito fingere di essere stati in un ristorante per non sentirsi spiegare la filosofia della cucina? Sì, secondo il magazine del Financial Times.

Il quotidiano ha chiesto ai suoi critici gastronomici di stilare una serie di regole su cosa si fa e cosa non si dovrebbe fare quando ci si vuole godere una cena fuori. Una lista che si fonda in primo luogo sul piacere del cliente, ma che non lo esime dal dover rispettare il lavoro e il tempo del ristoratore al punto da quantificare il tempo in cui i clienti possono restare al loro tavolo dopo avere pagato il conto: massimo 13 minuti (perché non 10 o 12, non è dato sapere).

Noi abbiamo chiesto a un parterre trasversale di elencarci le idiosincrasie e i desiderata attinenti alla ristorazione. Ne è derivata una lista di dos e don’ts (più una serie di caveat di Valerio Visintin) che vi invitiamo a leggere, per scoprire quanto siete d’accordo. Vanno considerate indicazioni soggettive, non norme. Magari lo fossero.

L’ambiente

Sono in molti a deplorare l’acustica dei ristoranti. Tra costoro il designer Lorenzo Palmieri che riassume il suo pensiero in una regola base: «Quando vado al ristorante con qualcuno vorrei sentirlo». A infastidire il creativo non è solo il rumore, ma anche un servizio troppo premuroso: «Non sopporto attenzioni non indispensabili», sigla.

L’antropologo Franco La Cecla detesta invece le luci troppo forti. «Pochissimi ristoranti capiscono che la gente va in coppia spesso al ristorante e ha bisogno di un'atmosfera discreta e appartata» constata.

Il menu

No, il menu con qr no. Così dichiara Ana Maria Sepe, una delle fondatrici di Psicoadvisor: «Dovrebbe essere vietato costringere gli ospiti a usare lo smartphone perché il menu cartaceo non è aggiornato» rincara. Nella categoria menu il premio per l’abominio va al pluripremiato pizzaiolo Franco Pepe, che a Caiazzo (CE),«propone un menu con qr in cui si accede alla pagina solo dopo aver visualizzato un banner pubblicitario per alcuni secondi» racconta Sepe.

Il menu da scannerizzare non piace neppure al semiologo Gianfranco Marrone, che abolirebbe anche «le descrizioni dei piatti da parte del cameriere o maitre che eccedano i 5 secondi», mentre imporrebbe come regola di avere la cucina a vista.

Il cibo

E veniamo al punto decisivo: i piatti. Secondo Elisa Motterle, Etiquette trainer e autrice di Bon ton pop a tavola (Feltrinelli), è d’obbligo l’educazione anche quando le cose non vanno come previsto. Dire «per favore» e «grazie» non è opzionale. E se qualcosa va storto? Si segnala con calma, senza dare spettacolo, e si permette ai gestori di proporre una soluzione. Vietato andarsene senza aver detto niente per poi lasciare una recensione a zero stelle online.

Motterle condanna invece le richieste di modifiche ai piatti: «Il menu è una proposta ragionata dallo chef» premette l’esperta di galateo. «Chiedere mille variazioni è arrogante, oltre a creare un surplus di confusione in cucina. Una volta comunicate eventuali allergie o intolleranze, le richieste di alterare i piatti andrebbero evitate».

Il servizio

Sull’opportunità di esprimere un parere critico su alcuni aspetti si schiera a favore anche Roberta Abate, cofondatrice con Victoria Small di Commestibile, newsletter e progetto di consulenza. «Se un piatto non ci è piaciuto, oppure se c'è un aspetto del locale poco piacevole, è giusto dare il nostro parere, in modo educato e costruttivo, a chef o ristoratori. Quando una persona si approccia al tavolo chiedendo "tutto bene?" siamo portate a dire "sì sì", anche se ci sono stati evidenti aspetti che hanno pregiudicato la nostra esperienza. Questi feedback dati dai clienti aiutano tantissimo le persone che sono dietro un ristorante, e se li si dà con criterio aiutano a migliorare l'esperienza per la prossima volta».

Da evitare invece il tentativo di aiutare i camerieri passando loro i piatti sporchi. «Meglio far fare tutto a dei professionisti, senza il rischio di far cadere posate o bicchieri. Quando si impilano i piatti l'uno sull'altro, o si passano le posate sporche, potremmo non fare effettivamente un favore. Differente se i camerieri ti chiedono esplicitamente aiuto, quando si è magari si è seduti in un posto particolarmente scomodo da raggiungere oppure ci sono poche persone che lavorano in sala».

Il tempo (e il denaro)

Anna De Simone, altra fondatrice di Psicoadvisor, tiene i tempi: 10-15 minuti è il tempo massimo dopo il quale comunicare al ristorante che si è in ritardo. Una scelta di buona educazione ma anche pratica: alcuni ristoranti, al momento della prenotazione, comunicano il tempo massimo di ritardo oltre il quale ritengono il tavolo libero. Ecco che comunicare un ritardo diviene non solo segno di rispetto ma anche l’unico modo per tenere in vita la prenotazione.

Andrebbe invece vietata la pratica di richiedere, al momento della prenotazione, un deposito cauzionale o di imporre a ogni commensale un minimo di portate (dolce escluso!) da ordinare. «Queste pratiche comunicano implicitamente che il cliente non è considerato un ospite ma un numero, demolendo ciò che cerchiamo quando andiamo al ristorante: un momento di relax e piacere» commenta De Simone.

I segnali premonitori

E poi c’è Valerio Visintin, critico gastronomico de Il Corriere della sera, che di recente ha rivelato quanto ampi siano i significati attribuibili alla voce “coperto” dal gestore di un locale. Ecco le sue regole per evitare i trappoloni della ristorazione: «Se il menu esposto in vetrina è un cimitero di moscerini sedimentati nei secoli, non aprite quella porta e filate via; Se i camerieri scompaiono nel momento del bisogno, telefonate al ristorante: “Mi porta una minerale? Sono al tavolo 5” (l’ho fatto davvero un paio di volte: funziona!); Se il bagno è un cesso (controllatelo subito), fuggite come il vento prima delle ordinazioni; Se la tassa per il coperto supera i 2 euro, portatevi a casa piatti e posate, come fosse un doggy bag; Se vi consegnano un “preconto”, rispondete con la fotocopia di una banconota su cui avrete scritto “presoldo” e non scucite un euro sinché non sopraggiunga lo scontrino fiscale; se al minuto 150 siete solo a metà del menu degustazione, chiamate il 118 e denunciate lo chef per sequestro di persona; Se il pane è “lievito madre, fratello sole, lievitazione millenaria, grani primordiali…”, ma fa schifo, rassegnatevi: la fuffa è la cifra stilistica della moderna ristorazione italiana».


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