Anno 2026. Al culmine di una campagna elettorale giocata su toni piuttosto forti, Elly Schlein sfida Giorgia Meloni a prendere una chiara posizione nei confronti dell’identità antifascista. Memore di una effimera polemica di tre anni prima, quando Meloni, celebrando l’anniversario della strage delle Fosse ardeatine, aveva parlato di «335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani», Schlein incalza: «Canti Bella ciao».

Meloni non batte ciglio. In fondo, nella sua biografia Io sono Giorgia aveva rivelato ascolti musicali giovanili non troppo lontani da quelli dell’avversaria, forse solo un po’ meno raffinati e più scontati: Guccini, Gaber, i cantautori…

Questione di gusti, certo. Ma anche di ribaltare le narrazioni che vogliono la musica e la cultura di sinistra, nel quadro di un più ampio ripensamento delle categorie che la stessa presenza di quella giovane proletaria romana a palazzo Chigi aveva innescato.

Meloni prende fiato e… «e questo è il fiore del patriota morto per la libertà». Schlein abbozza. Ha evidentemente perso lo scontro.

Polemiche cicliche

Abbandoniamo un momento questo sogno distopico e rientriamo nella realtà del 2023. Cantare (o non cantare) Bella ciao, o persino esprimere pareri su di essa, significa oggi – che lo si voglia o no – prendere una posizione politica.

Di pochi mesi fa è la polemica seguita a un’uscita di Laura Pausini, che si era rifiutata di cantare la canzone in una trasmissione tv in Spagna. Nei giorni in cui scrivo queste righe, Rocco Tanica ha espresso su Twitter la sua insofferenza per il brano innescando una discreta tempesta di commenti.

Nel tempo in cui l’articolo arriverà alla pubblicazione, avvicinandosi il 25 aprile, è probabile che altre controversie cancellino la memoria delle precedenti. Le polemiche su Bella ciao sono cicliche.

Le origini

Certo, nessuna di queste ha riguardato il suo ribaltamento di senso e la sua appropriazione da parte della destra – almeno per ora. È davvero così improbabile immaginarsi Giorgia Meloni che canta Bella ciao?

Provare a rispondere a questa domanda costringe a confrontarsi con lo status che la canzone ha assunto nell’Italia contemporanea, e con il ruolo che un certo repertorio politico, in particolare quello legato alla Resistenza, gioca nella costruzione identitaria della sinistra italiana.

Partiamo da Bella ciao. Le sue radici, come per tutti i materiali frutto di rielaborazione orale, sono profonde e complesse. Le prime tracce della canzone documentate con certezza – o almeno, le tracce di un canto che assomiglia molto alla Bella ciao che conosciamo – si ritrovano nelle Marche negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale.

Da lì essa risale verso la Linea gotica e la varca intorno al 1945, diffondendosi fra i partigiani pur senza raggiungere una fortuna paragonabile a quella di altri brani, su tutti Fischia il vento, inno indiscusso dei comunisti.

Il nuovo canzoniere italiano

Dopo la fine della guerra la diffusione della canzone rimane limitata. Paradossalmente, se ne trovano più tracce fuori dall’Italia, cantata soprattutto da militanti e partigiani comunisti: Bella ciao è documentata in Corea e in Indonesia, dove probabilmente è arrivata attraverso i festival mondiali della gioventù che si tengono a partire dal 1947.

La sua fortuna nel nostro paese risale solo agli anni Sessanta e coincide con il boom della discografia. Bella ciao viene incisa prima da Yves Montand e poi da decine di cantanti e gruppi.

La sua apparizione nel controverso spettacolo Bella ciao del Nuovo canzoniere italiano, che fonda il folk revival nazionale e genera scandalo (ma per la presenza di un canto antimilitarista della Prima guerra mondiale, O Gorizia, e non per la canzone eponima) contribuisce a farne un brano chiaramente connotato a sinistra (nella stessa circostanza si genera l’equivoco della sua discendenza da una canzone delle mondine, poi smentita).

Da qui in poi Bella ciao è una bandiera dell’antifascismo, un tassello chiave della memoria della Resistenza e dei suoi possibili usi politici.

Un canto antifascista?

Ma la memoria è malleabile – o manipolabile – e le canzoni sono dispositivi potenti per plasmarla. Esse mutano di senso, si incrostano di significati inattesi e agiscono nel mondo in modi in gran parte imprevedibili.

In verità, nulla dentro Bella ciao rivela una posizione antifascista, ma neanche – a ben vedere – un rimando alla Resistenza. Sicuramente non nel modo in cui Fischia il vento invitava ad attendere il sorgere del “sole dell’avvenire” della rivoluzione proletaria.

Ripercorrete mentalmente il testo: c’è un non meglio precisato invasore. C’è un rimando alla montagna (in effetti Bella ciao, fra le molte cose, è anche un canto di montagna). C’è un fiore, una tomba. C’è un “partigiano morto per la libertà”. Ecco, è quel “partigiano” il riferimento più forte alla guerra di Liberazione.

Il patriota

In una delle prime fonti che citano la canzone, documentata dallo storico Ruggero Giacomini, il “partigiano” era in realtà un “patriota”.

Il termine era effettivamente in uso per definire i partigiani, ed era oggetto di riappropriazione da parte degli stessi (lo si trova ad esempio nel Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio).

Certo è che oggi lo spostamento semantico da “partigiano” a “patriota” porta con sé suggestioni diverse. Ancora: la memoria è malleabile, ma anche i significati delle parole lo sono, al punto che il patriottismo ci potrebbe apparire un concetto che ha poco a che spartire con la sinistra.

Meloni, nella nostra distopia iniziale, ha infatti cantato “patriota” – forse perché lettrice di Fenoglio, o perché conoscitrice della storia di Bella ciao?

La libertà

In ogni caso, partigiano o patriota, il testo di Bella ciao è perfettamente adattabile a ogni situazione che preveda un invasore e qualcuno che lotta per la libertà. In effetti così è successo, dato che di Bella ciao si sono riappropriati in traduzione moltissimi combattenti per la propria “libertà” (dai curdi agli ucraini, per citare due casi relativamente recenti) e non necessariamente da posizioni “di sinistra”.

Ma del resto lo stesso concetto di libertà non è necessariamente un concetto “di sinistra” (basterebbe ricordare la fortuna politica di una coalizione nota come “Polo delle libertà”).

Retromania

E arriviamo allora a che cosa rappresenta la “musica della Resistenza” oggi in Italia. In uno svuotamento progressivo dell’idea di “sinistra”, in una crisi dei valori fondanti in atto da decenni, il repertorio politico legato alla Liberazione – ma più in generale quello emerso dalla stagione degli anni Sessanta e Settanta, Bella ciao e cantautori compresi – è rimasto a disposizione come una confortevole coperta di Linus.

Esso è contemplabile nostalgicamente nel nostro sguardo verso il passato, ed è proprio nella nostalgia e nella retromania che alcuni teorici della cultura pop di ispirazione anticapitalista (su tutti il compianto Mark Fisher) hanno riconosciuto l’essenza della cultura contemporanea e il suo preoccupante stallo politico nell’incapacità di «immaginare il nuovo», di saper progettare ancora futuri e utopie.

Ci hanno preso tutto

Lo stesso repertorio è però un elemento aggregante, comunitario. Ciò che ci permette di riconoscerci simili gli uni con gli altri è anche la possibilità di condividere le stesse canzoni, il poterle cantare insieme.

Funziona a livello generazionale (quanti come me nati alla metà degli anni Ottanta possono cantare un brano degli 883?), di classe (condividiamo i cantautori o i neomelodici? L’indie rock americano o la trap?) e anche – ovviamente – di identità politica.

Quel repertorio, di cui Bella ciao rappresenta la hit song, è una delle poche cose rimaste in grado di creare comunità per le generazioni di sinistra più giovani. Esso è però stabile, fisso, canonizzato. Non ci sono più state nuove canzoni politiche che abbiano avuto accesso a un ampio terreno condiviso, né oggi ci sembra possibile immaginarle.

Insomma, come dicevano gli Offlaga Disco Pax, «Ci hanno preso tutto!» ma – in assenza di altro – almeno ci restano le canzoni a cui attaccarci, per reclamare e ribadire il nostro essere di sinistra, il nostro riconoscerci in un’identità comune. Per ora. Le canzoni sono potenti, non è possibile che Giorgia Meloni canti Bella ciao. O forse sì?

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