Nel 2019 il New York Times ha pubblicato un articolo in cui per la prima volta si provava a riflettere sulle conseguenze dell’enorme successo di Elena Ferrante a livello globale. Il titolo era The ‘Ferrante Effect’: in Italia le scrittrici sono in ascesa e la pagina si apriva con un ritratto di Veronica Raimo. L’autrice di Miden – romanzo che proprio quell’anno era stato pubblicato negli Stati Uniti – era solo la prima di un folto gruppo di scrittrici italiane che anche grazie al cosiddetto effetto Ferrante sarebbero riuscite ad attirare l’attenzione dell’editoria internazionale. Altri esempi menzionati nel pezzo erano quelli di Claudia Durastanti, con La straniera, Helena Janeczek con La ragazza con la Leica e Donatella di Pietrantonio con L’Arminuta.

Quando alla fine del 2024 ancora il New York Times ha pubblicato la lista dei cento libri più belli del XXI secolo, L’amica geniale spiccava in prima posizione. Anche se la notizia ha fatto storcere il naso a non pochi critici e lettori, è stato un ulteriore indizio del fatto che l’effetto Ferrante non abbia ancora esaurito la sua spinta. Il 2025 segna il decimo anno della traduzione in inglese dell’intera serie dei romanzi napoletani a opera di Ann Goldstein.

Ma cosa è stata davvero la Ferrante fever e quali sono state le conseguenze di questo fenomeno?

Il tetto di cristallo 

Anche se oggi, su 14 milioni di copie vendute in tutto il mondo, se ne conta un milione solamente in UK, Daniela Petracco di Europa Editions ricorda che l’inizio è stato lento. «Ci sono voluti i volumi due e tre perché la serie venisse scoperta dalla stampa e dai lettori. Poi, alla pubblicazione di Those Who Leave and Those Who Stay, la Ferrante fever è scoppiata per davvero.» La serie di Hbo che è arrivata dopo ha sicuramente contribuito a incrementare le vendite, ma pare che non sia stata determinante.

Una volta penetrata nell’anglosfera, come uno tsunami la voce di Ferrante non solo ha rotto il tetto di cristallo delle traduzioni estere per molte autrici e autori italiani, ma ha anche contribuito alla riscoperta di molti classici della nostra letteratura, da Elsa Morante a Natalia Ginzburg, passando per Alba de Céspedes.

Il caso di quest’ultima autrice è particolarmente interessante. Nella Frantumaglia, raccolta di saggi e interviste tradotta in inglese nel 2016, Elena Ferrante aveva confessato ai suoi lettori come Dalla parte di lei fosse uno dei pochissimi libri che si concedeva di rileggere durante la stesura di un romanzo. La storia – immaginata durante gli anni della Seconda guerra mondiale, ma pubblicata solo nel 1949 – racconta in prima persona la vita di Alessandra, dall’infanzia all’incontro con il suo futuro marito, al fianco del quale partecipa alla resistenza durante l’occupazione di Roma.

In questo libro alcune delle parti più intense sono proprio i momenti di riflessione sulla condizione della donna e sull’amicizia femminile come nucleo primordiale di autocoscienza. Si tratta di temi familiari ai lettori di Ferrante, e non a caso sono proprio questi a tracciare un filo rosso tra il prima e il dopo, tra il canone dei classici – a cui sempre Ferrante fa tributo – e la modernità.

Anche se de Céspedes aveva goduto di un discreto successo internazionale in vita, agli inizi del Duemila le sue opere erano uscite da molti cataloghi, compresi quelli italiani, fatta eccezione del Meridiano Mondadori pubblicato nel 2011. L’attenzione che l’editoria internazionale ha dedicato alla scrittrice italo-cubana dopo l’indicazione di Ferrante ha incoraggiato la sua riscoperta anche in Italia. Tutti i romanzi dell’autrice sono stati ripubblicati come Oscar Cult Mondadori – con Dalla parte di lei e Quaderno proibito ormai considerati come veri e propri classici moderni – e alcune opere minori sono state recuperate da Cliquot, come la primissima raccolta di racconti L’anima degli altri.

All’università 

Oltre al mondo dell’industria editoriale, negli ultimi dieci anni l’effetto Ferrante ha colpito anche il cuore dell’accademia. Sono moltissimi i corsi di Italian studies che a partire dall’Amica geniale hanno costruito interi percorsi formativi sia strettamente letterari che a livello interdisciplinare, leggendo il lavoro di Ferrante con le lenti dei gender studies, dei cultural studies e delle feminist theories. Alcuni esempi?

Alla University of California, Berkley, le storie di Lila e Lenù sono state oggetto di vari corsi di studio tra cui “Bold Voices of Italy: Power, Sexuality, Storytelling”. Alla Brown University, nel corso sulla cultura italiana del XX secolo, il nome di Ferrante compare accanto a quello di Calvino, Pasolini ed Elsa Morante per raccontare la rapida industrializzazione del paese, ma anche la sua evoluzione politica; in Inghilterra invece, un modulo di italianistica all’università di Exeter, analizza la tetralogia nell’ottica del romanzo storico italiano.

Molti critici e accademici hanno esternato le proprie riserve e continueranno a farlo, ma è indiscutibile quanto l’effetto Ferrante negli ultimi dieci anni abbia contribuito a rinnovare i programmi di letteratura italiana all’estero, rinvigorendo l’interesse per la nostra cultura anche dal punto di vista della storia delle donne e del pensiero femminista (i testi di Carla Lonzi, attualmente in corso di traduzione negli Stati Uniti, confermano proprio questo).

La quarta ondata in Italia 

Se da un lato il successo di Ferrante ha seguito una traiettoria – per così dire – dall’Italia al mondo, è anche interessante osservare il movimento in direzione opposta. Che cosa è cambiato in Italia, cioè, da quando l’autrice della tetralogia napoletana ha cominciato a registrare recensioni positive, veicolata dalle traduzioni di Goldstein?

Nel 2018, Tiziana de Rogatis aveva paragonato la prima ricezione italiana dei volumi dell’Amica geniale a quella che Elsa Morante aveva ricevuto per La Storia nel 1974. Secondo de Rogatis «in un paese come l’Italia, in cui un costume maschile diffuso nel giornalismo, nell’editoria e nell’università ha delegittimato e delegittima tuttora le nostre scrittrici e la loro visibilità, Elena Ferrante ha scelto di essere una di loro».

Le prime recensioni avrebbero sofferto molto la natura misogina di una critica – soprattutto maschile – che li avrebbe ascritti troppo velocemente alla categoria del romanzo rosa non letterario. Questo atteggiamento lo ha confermato Cecilia Schwartz, docente ordinaria di letteratura italiana all’università di Stoccolma, in uno studio dedicato alla ricezione di Ferrante prima e dopo la sua traduzione sul mercato anglofono. «L’attitudine della critica italiana nei confronti della tetralogia de L’amica geniale è cambiata significativamente tra il 2011 e il 2015. Mentre i primi due volumi erano stati considerati alla stregua dei feuilleton o dei fotoromanzi, tre anni dopo la serie è considerata un’epica contemporanea alla stregua della grande letteratura mondiale.»

Quando si parla del fenomeno Elena Ferrante in Italia, c’è poi una cosa che non viene mai detta. Se da un lato c’è stato in passato più di un tentativo di “smascherare” questa autrice e sminuire il valore letterario delle sue opere, dall’altro il cambio di rotta nei suoi confronti non può essere letto solo in reazione al successo ottenuto nel mondo anglofono.

Non può insomma essere una questione di nemo propheta in patria e consecutivo pentimento. Gli anni in cui Ferrante è emersa al grande pubblico con la quadrilogia, hanno coinciso con il periodo di un grande ritorno del pensiero femminista nel discorso culturale e pubblico.

La cosiddetta quarta ondata è arrivata forte in Italia dalla metà degli anni dieci e si è intensificata in seguito al fenomeno del #metoo, nel 2017, fornendo gli strumenti culturali necessari a valorizzare a pieno la serie ormai completa. La Ferrante fever è stata senza alcun dubbio anche una questione di Zeitgeist. Resta irrisolto, invece, il mistero dell’anonimato. Nel mondo dell’iper-esposizione essere una delle donne più conosciute di sempre, eppure restare invisibile per tutti questi anni: non è anche questo un vero talento geniale?

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